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Conciliazione in sede sindacale, i paletti della Cassazione all’impugnazione

Pubblicato il 16 aprile 2019 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Quando una conciliazione in sede sindacale è impugnabile per violenza morale e sproporzione tra le concessioni avvenute tra le parti? A questa domanda risponde la Corte di cassazione, con sentenza del 1° aprile 2019, n. 9006 , la quale interviene sul caso di un agente di commercio che agiva nei confronti della società mandataria al fine di ottenere, tra l'altro, la declaratoria di nullità o annullamento del verbale di accordo sindacale transattivo sottoscritto con la stessa.

Il Tribunale aveva respinto la domanda ritenendo che l'accordo transattivo fosse esente da vizi sia dal punto di vista della rituale partecipazione del rappresentante sindacale, sia sul piano della accampata violenza morale asseritamente esercitata dalla società con il minacciato recesso dal contratto di agenzia. Anche la Corte d'appello confermava la decisione di primo grado, ritenendo che l'accordo stipulato tra le parti rispondesse in tutto e per tutto ai requisiti di validità ed efficacia dettati dalla figura tipica del negozio transattivo.

La Cassazione, nel confermare le decisioni di merito, chiarisce i termini e le condizioni per la validità di un accordo transattivo in presenza di rappresentante sindacale.

In primo luogo la Corte precisa che «in materia di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall'atto stesso si evincano la questione controversa oggetto della lite e le reciproche concessioni in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'articolo 1965 del Codice civile» (Cass. n. 24024/2013).

Dalla scrittura contenente la transazione, continua la sentenza in commento, deve risultare la comune volontà delle parti di comporre la controversia in atto, la "res dubia", vale a dire la materia oggetto delle contrastanti pretese giuridiche delle parti; e per "res dubia" si intende «l'incertezza, almeno nell'opinione delle parti, circa il rapporto giuridico intercorrente tra le stesse e le rispettive contrapposte pretese e la corrispettività del sacrificio sopportato, o meglio le reciproche concessioni, senza che di tali pretese sia necessaria l'esteriorizzazione e senza che acquisti rilievo l'eventuale squilibrio tra il datum ed il retentum, dovendosi, a tal fine, ricordare che l'articolo 1970 del Codice civile esclude che la transazione possa essere rescissa per causa di lesione, in quanto la considerazione dei reciproci sacrifici e vantaggi derivanti dal contratto ha carattere soggettivo, essendo rimessa all'autonomia negoziale delle parti».

Il giudice non è tenuto a valutare la congruità delle determinazioni delle parti rispetto alle reciproche concessioni, deve solamente accettarne la reale volontà negoziale (v. Cass. n. 7999/2010, n. 18616/2015 e n. 8808/2015).

Infine, quanto all'asserita sussistenza di una violenza morale, i giudici della Suprema corte ricordano che, perché essa si ravvisi, quale vizio invalidante del consenso, ai sensi dell'art. 1435 del Codice civile è requisito indefettibile «che la minaccia sia stata specificamente diretta al fine di estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l'annullabilità e risulti di tale natura da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell'autore di essa», e che «l'apprezzamento del giudice di merito sulla esistenza della minaccia e sulla sua efficacia a coartare la volontà di una persona si risolve in un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se motivato in modo sufficiente e non contraddittorio» (Cass. n. 24140/2007 e n. 999/2003).

La sentenza, quindi, non può che confermare la valutazione fatta dai giudici di merito, ovvero, la piena legittimità dell'accordo transattivo anche sul piano della libertà del consenso espresso dall'agente.


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