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Reintegra possibile solo se esplicitamente prevista dal contratto

Pubblicato il 29 maggio 2019 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

In tema di licenziamento per giusta causa soggetto alla disciplina dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori , la Cassazione, con la sentenza 14500/2019 , ha correttamente ritenuto che in presenza di una condotta non rientrante tra quelle punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi, non è consentito al giudice reintegrare in servizio il dipendente operando un'estensione delle condotte descritte dal Ccnl «sul presupposto del ritenuto pari disvalore disciplinare».

Un datore di lavoro ha licenziato per giusta causa un dipendente per aver proferito - utilizzando mezzi aziendali e reiterando la propria condotta in occasione di due telefonate - espressioni di natura erotico sessuale alla presenza di una collega.

La Corte d'appello di Milano – accogliendo il reclamo proposto dalla società condannata in primo grado alla reintegrazione in servizio del dipendente – da un lato ha confermato l'illegittimità del licenziamento ritenendo che i fatti occorsi non fossero così gravi da integrare gli estremi della giusta causa, mentre, dall'altro, ha rilevato che, contrariamente a quanto deciso dal tribunale, le condotte accertate non rientrassero tra quelle punibili con sanzioni conservative in base al contratto collettivo applicato.

Il dipendente ha presentato ricorso cassazione articolando cinque motivi, con i quali, per quanto qui di interesse, ha eccepito la violazione e falsa applicazione degli articoli 2106 e 2119 del codice civile, nonché degli articoli 39 e 40 del Ccnl per gli addetti all'industria chimica (applicato dalla società) avendo la corte territoriale escluso la ricorrenza delle fattispecie tipizzate dal contratto collettivo come meritevoli di sanzione conservativa.

La Suprema corte, rigettando i suddetti motivi, ha in primo luogo sintetizzato i passaggi logico-giuridici che il giudice deve compiere in relazione all'accertamento della legittimità o meno del licenziamento nonché in merito all'eventuale individuazione del regime sanzionatorio applicabile.

In particolare, la Corte ha precisato che «il giudice di merito deve…accertare se sussistono o meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, secondo le previgenti nozioni fissate dalla legge…Nel caso in cui escluda la ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva, deve svolgere…un'ulteriore disamina sulla sussistenza o meno delle due condizioni previste dal comma 4 dell'articolo 18 per accedere alla tutela reintegratoria (“insussistenza del fatto contestato” ovvero fatto rientrante “tra le condotte punibili con una sanzione conservativa”).

Proprio in relazione a tale ultima condizione la Cassazione ha statuito che mentre le previsioni contrattuali che descrivono condotte punibili con il licenziamento non vincolano il giudice, tale «principio generale subisce un'eccezione ove la previsione negoziale ricolleghi ad un determinato comportamento giuridicamente rilevante solamente una sanzione conservativa».

In tal caso, prosegue la Corte, «il giudice è vincolato al contratto collettivo, trattandosi di condizione di maggior favore fatta espressamente salva dal legislatore»: un'interpretazione estensiva, volta a far rientrare nell'ambito delle condotte punite con sanzioni conservative fattispecie non espressamente tipizzate nel contratto collettivo, sarebbe eccezionalmente consentita solo ove emerga una «inadeguatezza per difetto dell'espressione letterale adottata dalle parti sociali rispetto alla loro volontà».

Correttamente la Corte ha precisato a tale riguardo che tale verifica esegetica deve essere eseguita «con particolare severità in un contesto, come quello in esame, nel quale trova applicazione il principio generale secondo cui una norma che prevede un'eccezione alla regola generale deve essere interpretata restrittivamente». Pertanto, solo laddove il fatto contestato sia espressamente contemplato dal Ccnl come punibile con sanzione conservativa, il licenziamento sarà non solo illegittimo ma meritevole di tutela reintegratoria.

In conclusione, la Cassazione, avendo accertato che la motivazione resa dalla corte territoriale risulta conforme ai principi sopra richiamati in tema di interpretazione delle norme contrattuali e non ricorrendo le due condizioni previste dal comma 4, articolo 18, dello statuto dei lavoratori ai fini della reintegrazione, ha correttamente confermato la sentenza d'appello in merito all'applicazione del «regime generale di tutela risarcitoria dettato dal comma 5 del medesimo articolo».

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