I periodi corrispondenti al congedo di maternità verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro danno diritto all’accredito figurativo pari a cinque mesi e un giorno per ogni figlio nato. Ciò consente di incrementare sia l’anzianità contributiva sia la misura del trattamento pensionistico. Il riconoscimento di tali periodi avviene con domanda all’Inps.
Con messaggio 4987/2017, l’istituto di previdenza ha precisato che – per gli iscritti alla gestione dipendenti pubblici, in analogia a quanto avviene per l’assicurazione generale obbligatoria – gli interessati possono rinunciare all’accredito figurativo, relativo anche al servizio militare, qualora tale periodo non sia stato già utilizzato.
L’utilizzo dell’accredito figurativo può concretizzarsi con la valorizzazione degli stessi prima del 31 dicembre 1995. In questa ipotesi, il lavoratore perderebbe la qualità di “nuovo iscritto” (cioè contributivo puro), potendo vantare anzianità contributiva precedente al 1996, con conseguente disapplicazione del massimale contributivo puro. Da ciò ne deriverebbe l’impossibilità di rinunciare all’accredito figurativo, poiché il riconoscimento avrebbe prodotto effetti sulla posizione assicurativa.
Il quadro così delineato ha formato oggetto di un ulteriore approfondimento da parte della gestione pubblica Inps la quale, a fronte di un quesito posto da una pubblica amministrazione, ha avuto modo di precisare che non esistono motivi ostativi a un riconoscimento parziale oppure a una rinuncia parziale del periodo accreditato figurativamente, qualora il lavoratore ne faccia esplicita richiesta.
Il caso esposto dall’ente riguarda una lavoratrice che, in assenza dell’evento maternità, risultava destinataria di un sistema di calcolo pensionistico misto, avendo maturato meno di 18 anni di contributi alla fine del 1995. Con l’accredito dei periodi figurativi riusciva a perfezionare 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, mutando il sistema di calcolo in retributivo con pro-rata contributivo dal 1° gennaio 2012. Tuttavia, l’incremento dell’anzianità avrebbe comportato un peggioramento del trattamento pensionistico di diverse centinaia di euro all’anno.
Infatti, stante il notevole lasso di tempo intercorso dall’entrata in vigore della riforma Dini (legge 335/1995), deve essere superato il “mito” che il sistema retributivo risulti premiante rispetto a quello misto, poiché quest’ultimo riesce a coniugare i benefici delle quote retributive con quelli delle quote contributive, soprattutto nell’ipotesi in cui le anzianità maturate al 31 dicembre 1995 si avvicinino ai 18 anni, senza tuttavia raggiungerli.