Dopo le modifiche, introdotte dal decreto legislativo 8/2016, in materia di punibilità del mancato versamento di contributi, questo reato va valutato nel suo complesso e non più come una ripetizione dello stesso per ogni mese in cui non vengono effettuati i pagamenti. Con la sentenza 25537/2019 depositata ieri, la Cassazione ha accolto il ricorso di un titolare di impresa che si è visto negare la non punibilità del fatto dalla Corte d'appello in relazione al mancato versamento riguardante 8 mesi consecutivi.
Quest'ultima ha ritenuto condannabile l'imprenditore sulla base della «reiterazione della condotta criminosa che induce a sottovalutare la contenuta entità del superamento della soglia di legge, ritenendo operante la preclusione di cui all'articolo 131 bis comma 3 del Codice penale attinente ai reati aventi ad oggetto condotte plurime e reiterate». In base all'articolo 131 bis, è esclusa la punibilità dei reati per cui è prevista la pena detentiva non superiore a cinque anni oppure quella pecuniaria, anche abbinata a quella detentiva, se l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento non risulta abituale.
La Cassazione osserva però che con il nuovo quadro normativo (soglia di punibilità di 10.000 euro se superati nell'anno) il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, una volta superato l'importo limite, è un «reato unitario a consumazione prolungata». Ciò significa che le singole omissioni ripetute un mese dopo l'altro non vanno considerate come più reati ma come parte dello stesso e con ciò viene meno la caratteristica della reiterazione o del comportamento abituale. Quindi «non è configurabile la reiterazione del reato per ogni singolo omesso versamento nell'anno di riferimento che, sotto il vigore della legge ante modifica, integrava l'unicità del disegno criminoso ai fini dell'articolo 31, comma 2, del codice penale».
In questo quadro, la non punibilità, sottolineano i giudici, può però essere applicata solo se gli importi omessi superano di poco l'ammontare del limite di legge. La Suprema corte ha quindi annullato la sentenza perché «ha ancorato il diniego della causa di non punibilità alla mera pluralità delle mensilità interessate, esplicitamente affermando l'irrilevanza della contenuta entità del superamento della soglia».