Ai ricercatori e docenti già rientrati in Italia spetta la detassazione del reddito al 90% anche in caso di mancata iscrizione all’Aire. Così le Entrate nella risposta ad interpello n. 207 di ieri, che interpreta - favorevolmente - le modifiche introdotte dal decreto crescita.
Il caso riguarda un ricercatore assunto in un’Università italiana nel 2018, rientrato dopo aver svolto dal 2014 attività di ricerca all’estero. L’istante ha fatto presente all’ateneo di avere diritto al regime fiscale previsto dall’articolo 44 del Dl n. 78/2010. L’Università ha tuttavia ritenuto di non poter applicare l’agevolazione, in quanto il ricercatore non si era mai cancellato dall’anagrafe della popolazione residente in Italia e, nel periodo di lavoro all’estero, non era iscritto all’Aire.
L’agevolazione in esame prevede l’esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo del 90% degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo di studio universitario o equiparato, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza in centri di ricerca o università all’estero per almeno due anni continuativi. Ciò a condizione che si trasferiscano per svolgere la propria attività in Italia, acquisendo la residenza fiscale nello Stato. Gli emolumenti percepiti non rilevano ai fini Irap.
Le agevolazioni sono state potenziate dal Dl crescita, che ne ha esteso la durata ordinaria da 4 a 6 anni e ha previsto misure per favorire il radicamento in presenza di figli o nel caso di acquisto di almeno un’unità residenziale in Italia (con estensione del periodo agevolato sino a 13 anni). Prerequisito per le agevolazioni è la residenza estera precedente al trasferimento in Italia, su cui in passato l’Agenzia (circolare n. 17/E del 2017) si è espressa richiamando l’articolo 2, comma 2, del Tuir. Questa norma considera fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo di imposta, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato la residenza o il domicilio (articolo 43 del Codice civile). Si tratta di condizioni tra loro alternative, per cui la sussistenza anche solo di una di esse è sufficiente a qualificare un soggetto come residente fiscale in Italia.
Il quadro normativo è però cambiato con le modifiche introdotte dal decreto crescita (articolo 5, comma 4 e 5) - in corso di conversione - e l’Agenzia ne prende atto. La novella ha previsto, con valenza si ritiene interpretativa, che i docenti o ricercatori italiani non iscritti all’Aire, che assumono la residenza fiscale in Italia dal 2020, possono accedere ai benefici fiscali, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni almeno nei due anni precedenti al trasferimento. Al riguardo, l’Agenzia conferma (come sostenuto su queste colonne) che anche i soggetti non iscritti all’Aire rientrati in Italia nel 2019 possono usufruire dell’agevolazione fiscale (nel testo vigente al 31 dicembre 2018), purché dimostrino la residenza fiscale all’estero sulla base delle sovraordinate disposizioni internazionali.