Con l’interpello 212/2019 un’azienda ha chiesto chiarimenti all’agenzia delle Entrate su come regolarsi a fronte di un accordo che consente di fruire anche a due anni di distanza del welfare convertito dal premio di risultato.
Il contratto collettivo siglato con le rappresentanze aziendali permette di convertire il premio di risultato detassabile in welfare, vale a dire opere e servizi non concorrenti alla formazione del reddito in base all’articolo 51 del Tuir (previdenza complementare, assicurazione sanitaria, baby-sitting, assistenza ad anziani, buoni spesa).
Accanto al welfare “da conversione”, l’accordo conferisce un ulteriore credito, aggiuntivo rispetto al premio, riconosciuto ai dipendenti con figli a carico. Viene consentito ai dipendenti che convertono il premio di risultato delle annualità 2018 e 2019 in welfare di fruirne i relativi benefit fino alla fine del 2021, anche se l’opzione di conversione sarà manifestata rispettivamente entro il 31 maggio 2019 e il 31 maggio 2020.
L’accordo pone poi una clausola di conversione “finale” secondo cui il premio trasformato in welfare entro maggio, ma non materialmente fruito entro il 2021, sarà destinato al fondo di previdenza complementare. Nel caso in cui il dipendente non risulti iscritto presso alcun fondo, o lo stesso non consenta il versamento, il premio non sarà monetizzabile e di conseguenza verrà perso. L’azienda specifica che alcuni dei benefit mappati dal regolamento, come l’abbonamento al trasporto pubblico, sono fruibili anche dai familiari cui rimanda l’articolo 51 del Tuir.
I due quesiti dell’interpello si concentrano su quando si realizza il momento impositivo del premio convertito ma goduto successivamente e se all’interno dei familiari beneficiari di alcuni benefit possano essere ricompresi i conviventi di fatto.
Il problema del momento impositivo viene sganciato, nella risposta dell’Agenzia, dal limite di 3.000 euro previsto dalla legge 208/2015 quale massimo ammontare di premio detassabile (e quindi convertibile) erogato al dipendente in ciascun anno d’imposta. L’Agenzia rassicura l’interpellante riprendendo l’orientamento esplicitato al paragrafo 4.11 della circolare 5/E 2018. Infatti, anche se per paradosso il dipendente si trovasse nel 2020 a fruire materialmente di benefit da conversione del premio 2018 e 2019 superando in totale i 3.000 euro detassabili nell’anno, il limite va verificato relativamente al momento in cui è stata esercitata l’opzione per il welfare e non quando avviene la fruizione.
Il momento di percezione, invece, nel rispetto del principio di cassa, è legato alla scelta del singolo benefit sulla piattaforma informatica di gestione del welfare.
I conviventi di fatto - nella lettura dell’Agenzia- non possono essere in alcun modo ricompresi nel novero dei familiari richiamati da alcune forme di benefit (asili nido, borse di studio eccetera), in quanto l’equiparazione con la figura del coniuge è stata prevista ai fini civilistici, ma anche fiscali, dalla legge 76/2016 solo per gli uniti civilmente (dello stesso sesso) e non per i conviventi di fatto.