La Corte di cassazione è intervenuta, con un'interessante sentenza, sul valore delle buste paga come prova di mancato godimento delle ferie.
La vicenda oggetto dell'ordinanza della Corte di cassazione del 21 giugno 2019, n. 16656, è presto riassunta: un lavoratore chiedeva l'accertamento del diritto alla corresponsione dell'indennità per ferie e permessi non goduti, fornendo come prova documentale del mancato godimento le buste paga. La Corte d'appello, in riforma della sentenza del Tribunale, affermava la piena validità di tale prova e riconosceva al lavoratore il diritto da esso rivendicato.
Il datore di lavoro, appellandosi all'orientamento che afferma la relatività del valore probatorio delle buste paga, chiedeva la cassazione della sentenza d'appello laddove «la stessa ha erroneamente ritenuto di dover rinvenire proprio nelle buste paga la prova del fatto costitutivo della pretesa creditoria».
La Cassazione, definendo come improprio il richiamo a tale principio di diritto da parte del ricorrente, ne traccia il corretto ambito applicativo. Il principio della relatività del valore probatorio delle buste paga va infatti affermato in relazione alla contestazione da parte del lavoratore delle risultanze in esse contenute. Nel caso in esame, invece, le contestazioni provengono dal datore di lavoro, ovvero dallo stesso soggetto che ha emesso il documento e quindi «il suo contenuto non può che assumere prova contraria a quanto affermato dal dichiarante».
La Cassazione in conclusione afferma la validità delle buste paga del lavoratore come prova dello svolgimento dell'attività lavorativa e conferma del mancato godimento dell'intero periodo di ferie annuali nella misura prevista dal contratto collettivo applicato dall'azienda e, conseguentemente, dichiara la legittimità del diritto del lavoratore alla corresponsione dell'indennità sostitutiva.