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Lavoratori all’estero inviati in Italia: quando il distacco transnazionale è genuino

Pubblicato il 26 settembre 2019 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Caporalato, somministrazione fraudolenta e maxisanzione per lavoro nero. Sono questi alcuni degli aspetti principali che vengono affrontati nel vademecum sul distacco transnazionale elaborato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro e divulgato al personale ispettivo con la nota n. 622 del 1° agosto 2019.

A distanza di oltre due anni dall’entrata in vigore della disciplina sul distacco transnazionale ed in attesa del recepimento della Direttiva 2018/957/UE, l’INL ha raccolto in un documento unitario le indicazioni di carattere operativo e interpretativo che gli ispettori del lavoro debbono seguire in caso di controlli a carico di imprese che ingaggiano lavoratori all’estero per farli lavorare in Italia. Quali sono le condizioni ed i limiti per praticarlo?

Quello del distacco transnazionale è un fenomeno che si sta diffondendo rapidamente a causa, spesso, dei vantaggi economici che produce a danno dei lavoratori che vengono così impiegati (dumping sociale).

Il D.Lgs. n. 136/2016, nel disciplinare la fattispecie, ha previsto che un’impresa stabilita in un altro Stato membro dell’Unione possa legittimamente distaccare in Italia, per un periodo di tempo limitato, uno o più lavoratori in favore di un’altra impresa, anche appartenente allo stesso gruppo, o a un’altra unità produttiva, o di un altro destinatario. Tale distacco, tuttavia, va correlato alle seguenti circostanze:

- Stipula di un contratto commerciale fra impresa distaccante e distaccataria (es. appalto di opere o servizi, cabotaggio stradale di merci o di passeggeri, somministrazione di lavoro) che viene svolto dai lavoratori distaccati dal fornitore di servizi;

- Esigenze proprie di un’azienda avente sede in un diverso Stato membro di distaccare lavoratori presso un’azienda italiana appartenente al medesimo gruppo di impresa (c.d. distacco infragruppo);

- Esigenze proprie di un’azienda avente sede in un diverso Stato membro di distaccare lavoratori presso una propria filiale situata in Italia.

La disciplina in parola trova parziale applicazione anche alle imprese stabilite in uno Stato extraUE che distacchino lavoratori in Italia, nell’ambito di una prestazione di servizi.

Affinché venga considerato genuinamente distaccato, il lavoratore deve essere abitualmente occupato in un altro Stato membro e, nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi, per un periodo limitato, predeterminato o predeterminabile in base ad un evento futuro e certo, potrà svolgere il proprio lavoro anche in Italia.

Al fine di prevenire gli abusi e l’elusione degli obblighi di legislazione sociale e individuare così le fattispecie di distacco non genuino, l’art. 3 del decreto individua alcuni indicatori che contraddistinguono le diverse fattispecie di distacco transnazionale. Fra gli indici che gli organi di vigilanza valuteranno al fine di accertare se il distacco realizzato nel nostro Paese sia autentico o meno, vi sono:

· Il luogo in cui l'impresa ha la propria sede legale e amministrativa, i propri uffici, reparti o unità produttive;

· Il luogo in cui l'impresa è registrata alla CCIAA o, ove sia richiesto in ragione dell'attività svolta, ad un albo professionale;

· Il luogo in cui i lavoratori sono assunti e quello da cui sono distaccati;

· La disciplina applicabile ai contratti conclusi dall'impresa distaccante con i suoi clienti e con i suoi lavoratori;

· Il luogo in cui l'impresa esercita la propria attività economica principale e in cui risulta occupato il suo personale amministrativo;

· Il numero dei contratti eseguiti o l'ammontare del fatturato realizzato dall'impresa nello Stato membro di stabilimento, tenendo conto della specificità delle piccole e medie imprese e di quelle di nuova costituzione;

· Il contenuto, la natura e le modalità di svolgimento dell'attività lavorativa e la retribuzione di ciascun lavoratore;

· La circostanza che il singolo lavoratore eserciti abitualmente, la propria attività nello Stato membro da cui è stato distaccato;

· La temporaneità dell'attività lavorativa svolta da ciascun lavoratore in Italia;

· La data di inizio del distacco di ogni lavoratore;

· La circostanza che ciascun lavoratore sia tornato o si preveda che torni a prestare la sua attività nello Stato membro da cui è stato distaccato;

· La circostanza che il datore di lavoro che distacca il singolo lavoratore provveda alle spese di viaggio, vitto o alloggio e le modalità di pagamento o rimborso;

· Eventuali periodi precedenti in cui la medesima attività è stata svolta dallo stesso lavoratore o da un altro lavoratore distaccato;

· L'esistenza del certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale applicabile al singolo lavoratore distaccato (Mod. A1);

· Ogni altro elemento utile alla valutazione complessiva.

Con riferimento al Mod. A1 il vademecum chiarisce che laddove il documento, pur rilasciato/emesso in ritardo, copra comunque l’intero periodo di distacco, non potrà essere contestata dal personale ispettivo la mancanza del suddetto attestato; ciò che rileva, difatti secondo l’INL, è la copertura previdenziale dell’intero periodo di distacco e non, invece, la data di rilascio del modello.

Le recenti linee guida, inoltre, evidenziano che l’autenticità del distacco transnazionale va accertata verificando se l’impresa distaccante “eserciti effettivamente attività diverse rispetto a quelle di mera gestione o amministrazione del personale” e, qualora ciò non avvenga, il personale ispettivo dovrà contestare la specifica violazione prevista per il distacco transnazionale non genuino (art. 3, D.Lgs n. 136/2016) e non, invece, la violazione degli artt. 29 e 30 del D.Lgs. n. 276/2003 (che disciplinano l’autenticità dell’appalto e del distacco in ambito domestico).


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