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Cambio di mansioni facile per i dirigenti perché senza livelli

Pubblicato il 26 settembre 2019 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi,

«Nel caso dei contratti collettivi dei dirigenti, ove non è prevista differenziazione di inquadramento, il limite resta quello della categoria per cui il datore di lavoro può adibire il dirigente a qualunque mansione, purché di contenuto dirigenziale». Lo ha stabilito il tribunale di Milano che probabilmente per primo, dopo la riforma dell’articolo 2103 del codice civile operata dal Jobs act, è stato chiamato a fare chiarezza sull’applicazione alle figure apicali della nuova norma in materia di cambio mansioni.

Nella sentenza 1068/2019 il giudice ha affrontato il caso di un dirigente bancario che, dopo aver ricoperto ruoli di dirigenza apicale, si è visto adibire a compiti diversi, ritenuti inferiori. Il tribunale ha ripercorso la disciplina dell’articolo 2103: se fino al Jobs act il datore di lavoro poteva affidare ai dipendenti soltanto compiti “equivalenti” a quelli precedentemente svolti, lo stesso datore ha oggi il potere di modificare le mansioni fintanto che siano riconducibili alla medesima categoria e livello.

Ma come applicare la nuova norma al rapporto di lavoro dirigenziale, la cui contrattazione collettiva non ha previsto alcuna suddivisione in livelli? Di fronte a un termometro della legittimità incentrato sul solo concetto di «compito a contenuto dirigenziale», il tribunale ha verificato la natura dei compiti che il lavoratore ha svolto dopo il cambio mansioni. «Al fine di vagliare la configurabilità o meno di un illegittimo demansionamento nel caso di specie è necessario verificare non tanto l’equivalenza dei compiti assegnati rispetto a quelli espletati in precedenza, ma l’effettività del carattere dirigenziale dell’attività». Accertato come al dirigente fosse rimasta una sola funzione di supporto organizzativo, il giudice ha preso atto del carattere non dirigenziale delle nuove mansioni, dichiarando perciò l’esistenza di un demansionamento illegittimo.

Tuttavia nella stessa sentenza il giudice sembra rimescolare un poco le carte, allorché si premura di aggiungere che «ai fini del vaglio della legittimità del comportamento datoriale nei confronti dei dirigenti apicali è necessario fare riferimento a parametri differenti rispetto a quelli utilizzabili per gli altri lavoratori, quali ad esempio l’importanza strategica della scelta datoriale e il rapporto fiduciario, particolarmente intenso, che lega datore e prestatore di lavoro».

L’osservazione non è decisiva e anzi pare ininfluente nel caso deciso, perché il giudice aveva già raggiunto le conclusioni sopra descritte (e per completezza dobbiamo notare che la decisione dà anche atto del carattere ritorsivo del demansionamento, il che avrebbe comunque determinato le sorti della lite). Il riferimento alla necessità di vagliare la valenza strategica della modifica operata, e il rapporto fiduciario tipico del lavoro dirigenziale, testimoniano però un qualche disagio di fronte a una indistinta assimilazione di tutti i rapporti di lavoro dirigenziali nell’ambito dell’unica categoria a cui per legge sono riconducibili.

Vedremo come il tema verrà trattato in futuro: per ora, la decisione ritaglia in modo amplissimo i confini del potere datoriale di mutamento delle mansioni dei dirigenti.


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