La Corte di cassazione ha confermato il licenziamento comminato ad un dipendente di banca per aver violato la normativa antiriciclaggio.
Vari gli addebiti contestati al bancario che rivestiva anche il ruolo di direttore di filiale: nel dettaglio, gli era stato imputato di aver omesso segnalazioni di operazioni sospette, di non aver inibito la movimentazione di un deposito di risparmio intestato ad una società con autorizzazioni a bonifici esteri, di aver consentito la movimentazione di un particolare conto corrente in violazione della normativa antiriciclaggio e di aver predisposto, violando specifiche prassi aziendali, l’istruttoria di un finanziamento in favore di sua madre e deliberato un ulteriore affidamento di credito, senza la copertura di idonee garanzie.
I giudici di secondo grado avevano ritenuto che il licenziamento fosse legittimo in considerazione del ruolo ricoperto di direttore della filiale nonché degli specifici inadempimenti riscontrati.
Era stata ravvisata, in particolare, una grave lesione del rapporto fiduciario con il datore di lavoro, tale da giustificare il recesso tenuto conto dei doveri connessi alla funzione rivestita e agli obblighi di segnalazione, specificatamente previsti anche dalla contrattazione collettiva.
A nulla sono valse le doglianze del ricorrente rispetto a queste conclusioni, posto che la Sezione lavoro della Suprema corte, con sentenza n. 26454 del 17 ottobre 2019, ha definitivamente confermato la misura espulsiva.
Secondo gli Ermellini, del resto, i giudici di appello avevano correttamente verificato che i fatti oggetto delle contestazioni, accertati dal giudice di prima istanza, non erano stati posti in discussione nella loro materialità in appello, tanto che il relativo accertamento era divenuto definitivo.
Facendo corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, era stato ritenuto che sull’accertamento dei fatti si fosse già formato un giudicato, in considerazione della genericità della censura formulata dal dipendente in sede di reclamo.
Privo di rilievo è stato considerato anche il motivo di doglianza con cui il ricorrente aveva dedotto la regolare istruzione della pratica di finanziamento in favore della madre: detta circostanza – si legge nella decisione di legittimità - non scalfiva comunque la ricostruzione operata nella sentenza impugnata per quanto riguardava le irregolarità accertate, puntigliosamente verificate durante l’istruttoria svolta nel corso del giudizio.