Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 16 ottobre 2019, ha statuito che l’utilizzo di una chat su whatsapp tra colleghi di lavoro per veicolare messaggi vocali di contenuto offensivo, minatorio e razzista nei confronti di un superiore gerarchico e di altri dipendenti non ha contenuto diffamatorio, non costituisce violazione dell’obbligo di fedeltà e non ha, in definitiva, portata rilevante sul piano disciplinare. Il contenuto privato della chat, ritenuto tale dal giudice perché ristretto a un numero chiuso di partecipanti, rende il fatto contestato privo del carattere della illiceità, con conseguente condanna del datore, anche in un rapporto attivato nel regime delle tutele crescenti, alla reintegrazione in servizio del dipendente e al risarcimento del danno in misura pari a tutto l’intervallo non lavorato (nel limite massimo di 12 mensilità).