La detenzione di quantitativi non modici di sostanze stupefacenti, benché intervenuta al di fuori dell’orario e del luogo di lavoro, costituisce giusta causa di licenziamento, perché è richiesto al lavoratore, oltre a un comportamento diligente in servizio, di tenere una condotta extralavorativa che non sia tale da compromettere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro. La Cassazione (sentenza 31531 del 3 dicembre 2019) precisa che non può essere dirimente, in senso contrario, che la detenzione delle sostanze stupefacenti non sia riconducibile al rapporto di lavoro, in quanto la minaccia potenziale sul futuro corretto adempimento della prestazione lavorativa che può derivarne è, di per sé, foriera di una irreparabile lesione del vincolo fiduciario.
Il caso sottoposto alla Suprema Corte era relativo al licenziamento di un portalettere, che aveva patteggiato una pena di quattro mesi e 800 euro di multa, con beneficio della sospensione condizionale e non menzione nel casellario giudiziale, per detenzione di circa 60 grammi di sostanze stupefacenti. Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento sul presupposto, tra gli altri, che la misura era sproporzionata, in quanto la violazione di legge si era verificata in un ambito estraneo all’orario e al luogo di lavoro. A ulteriore conferma della illegittimità del licenziamento il lavoratore aveva dedotto che i fatti accertati in sede penale risalivano all’aprile 2014, mentre l’azione disciplinare si collocava nel mese di maggio 2016, ben due anni dopo. Questo dato temporale costituiva, ad avviso della difesa, conferma del fatto che l’illecito non aveva avuto riflessi sulla prestazione lavorativa.
La Cassazione rigetta questa lettura e ribadisce che il possesso fuori dal luogo e dall’orario di lavoro di un rilevante quantitativo di stupefacenti costituisce, di per sé, una condotta socialmente censurabile, tale da violare essenziali principi del vivere civile. A fronte di un illecito di questo tenore, il contenuto delle mansioni del portalettere risulta incompatibile con la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Né può avere rilievo, secondo la Cassazione, che il rapporto di lavoro sia proseguito per due anni dopo l’illecito, perché alla base del licenziamento si colloca la sentenza di patteggiamento, equiparata a condanna passata in giudicato. Conclude la Cassazione che non possono essere richiamate le previsioni sul recupero dei lavoratori tossicodipendenti: in questo caso ad avere rilievo non è l’assunzione, bensì la detenzione di sostanze stupefacenti, per la quale il licenziamento è misura proporzionata e legittima.