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L’obbligo di repêchage scatta anche se c’è un accordo sindacale

Pubblicato il 03 gennaio 2020 Il Sole 24 ore; Italia Oggi;

La Corte di Cassazione affronta il caso della legittimità del licenziamento collettivo intimato nei confronti di un lavoratore come conseguenza della soppressione del reparto cui il lavoratore era unico addetto.

L'ordinanza 7 gennaio 2020, numero 118, in commento, richiama il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale, in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti a un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, con onere della prova a carico del datore di lavoro. Non è legittima la scelta di lavoratori «solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative». Poiché nel caso concreto in esame il lavoratore era in possesso di molteplici professionalità, era obbligo della società effettuare la comparazione del lavoratore con gli addetti agli altri reparti rimasti in funzione.

A rendere più interessante la fattispecie è l'esistenza di un accordo aziendale con il quale il lavoratore era stato indicato, tra i profili eccedentari, quale unico addetto al reparto che la società aveva deciso di sopprimere. A tal proposito la Cassazione ricorda che, secondo quanto stabilito dalla legge n. 223 del 1991 in materia di licenziamenti collettivi, tra imprenditore e sindacati può sì intercorrere un accordo inteso a stabilire criteri di scelta anche difformi da quelli legali «purché rispondenti a requisiti di obiettività e razionalità».

L'accordo in oggetto, non avendo tenuto conto delle molteplici professionalità possedute e documentate dal dipendente, e di conseguenza delle posizioni lavorative che questi avrebbe potuto occupare, non ha rispettato i principi di razionalità e di non discriminazione.

Date tali premesse, conclude la Suprema corte, sono da respingere le tesi di parte ricorrente sulla non applicabilità dell'istituto del repêchage e sul fatto che l'accordo aziendale avrebbe fatto venire meno l'obbligo di comparazione tra i lavoratori.


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