Al rapporto di lavoro in apprendistato si applicano le garanzie procedimentali dettate ex articolo 7 della legge 300/1970, nell’ipotesi di licenziamento disciplinare nel quale il datore di lavoro addebiti all’apprendista un comportamento negligente ovvero, in senso lato, colpevole. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 2365 del 3 febbraio 2020.
La sentenza ha espresso un importante principio di diritto in tema di applicazione all’apprendista delle tutele previste dall’articolo 7 della legge 300/1970. La peculiarità di tale rapporto di lavoro è che, da un lato, una volta terminato il periodo formativo le parti sono libere di recedere ex articolo 2118 del Codice civile, dall’altro, se, invece, nessuna delle parti recede, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
La Corte ha giudicato il contratto di apprendistato è un rapporto di lavoro subordinato “bifasico”: il primo periodo del rapporto di lavoro si connota per lo svolgimento della prestazione a fronte di formazione e retribuzione, mentre la seconda fase, eventuale, si instaura come rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il contratto di apprendistato si configura come rapporto complesso, nel quale viene bilanciata la funziona formativa allo svolgimento del rapporto di lavoro; esso perciò non è da assimilarsi all’assunzione in prova- che presuppone già un lavoratore formato - ma al rapporto di lavoro subordinato “tout court”.
Proprio su queste basi, è stata giudicata l’applicabilità della disciplina del licenziamento individuale all’apprendistato e la Corte ha confermato che si può fare ricorso, quindi, all’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori. La Cassazione, nell’affermare l’estensione dell’applicazione – e in particolare, la necessaria e preventiva contestazione dell’infrazione prima di applicare una qualsivoglia misura disciplinare - ha ripercorso la casistica giurisprudenziale, richiamando i diversi principi alla base dell'articolo 7 della legge 300/1970.
La Corte si è uniformata al principio del rispetto della procedura sanzionatoria, confermando che la contestazione dell’addebito è requisito di legittimità del provvedimento disciplinare. In particolare, la sentenza ha sottolineato l’importanza del procedimento e il diritto di difesa del lavoratore attraverso le parole della Corte Costituzionale, specificando che proprio la tutela del lavoratore passa anche per la sua tutela al contraddittorio. Il diritto a contestare l’addebito risponde non solo all’esigenza di poter giustificare il proprio comportamento ma anche alla possibilità del lavoratore di difendere decoro e dignità.
Bisogna precisare, in merito alla garanzia del contraddittorio e al contenuto della contestazione, che l’interpretazione giurisprudenziale ha portato a onerare il datore di lavoro della descrizione dettagliata dell'illecito, e delle norme contrattuali o legali violate, o di rendere noto al lavoratore le prove su cui l'addebito si fonda (Cassazione 2236/2007) ed offrire la documentazione aziendale relativa ad esse (Cassazione 29927/2018), qualora vi sia l’espressa richiesta del lavoratore. Rispetto all’articolo 7, legge 300/70, la sentenza in esame connota la norma di una “capacità espansiva”, infatti, la norma è applicabile e applicata anche ai dirigenti, poiché la preclusione della possibilità del lavoratore di contestare il comportamento a lui addebitato, è lesiva anche della stessa fiducia alla base del rapporto di lavoro.
Su questa linea di principio la Corte ha ribadito che qualunque tipo di licenziamento di tipo disciplinare, giustificato da comportamenti colposi o negligenti del lavoratore che vanno a inficiare il rapporto di lavoro, debba essere assoggettato all’articolo 7 della legge 300/1970.