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Non esiste l’illecito disciplinare che non è stato contestato

Pubblicato il 09 marzo 2020 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Se le condotte lesive poste alla base del licenziamento disciplinare di un dipendente non sono state in precedenza contestate seguendo la procedura prevista dall’articolo 7 della legge 300/1970, il provvedimento espulsivo risulta radicalmente viziato per insussistenza giuridica dei fatti. Il giudice è, in questo caso, tenuto ad annullare il licenziamento e a ordinare la reintegrazione in servizio del lavoratore e non trova nessuno spazio la tutela indennitaria prevista per i vizi della procedura disciplinare.
La Cassazione ha applicato questo principio (sentenza 4879/2020) sul presupposto che, se il licenziamento legato a un comportamento inadempiente del lavoratore non è preceduto dalla contestazione disciplinare degli addebiti, il provvedimento stesso deve essere considerato ingiustificato e, come tale, assimilabile al caso della «insussistenza del fatto contestato», da cui deriva, in applicazione del riformato articolo 18, comma 4 della legge 300/1970, la tutela reale a beneficio del dipendente.
Precisa la Suprema corte che la previsione di legge sul “fatto contestato” presuppone che l’addebito, la cui sussistenza dovrà essere successivamente accertata in giudizio, sia individuato in modo preciso e circostanziato nella lettera di contestazione che apre il procedimento disciplinare. Laddove questa esigenza non sia stata soddisfatta, perché l’azienda ha fondato il licenziamento su addebiti che non avevano formato oggetto di precedente contestazione, si deve concludere che la contestazione stessa sia insussistente. Non si ricade, pertanto, nell’ipotesi del vizio di forma, per non essere stato correttamente adempiuto il procedimento disciplinare previsto dall’articolo 7 dello statuto dei lavoratori a cui è ricollegato il solo rimedio indennitario (tra 6 e 12 mensilità), ma nella diversa e più grave fattispecie del fatto insussistente, a cui l’articolo 18, comma 4 riconnette la reintegrazione.
Questa conclusione è ulteriormente avvalorata, ad avviso della Cassazione, dall’esigenza di tutelare il diritto di difesa del lavoratore nell’ambito del procedimento disciplinare, che risulta completamente frustrato nel caso in cui non sia consentito rendere le giustificazioni dei comportamenti imputati.
La Suprema corte propone, peraltro, questa argomentazione anche alle tutele crescenti del Jobs act, operando un parallelismo tra il «fatto contestato» dello statuto dei lavoratori e il «fatto materiale contestato» del Dlgs 23/2015 (articolo 3, comma 2). Ad entrambe le previsioni – e, quindi, sia ai nuovi che ai vecchi assunti a tempo indeterminato – si applica il principio per il quale, se il licenziamento giustificato con una condotta lesiva non è stato preceduto dalla contestazione dei fatti, opera il rimedio della reintegrazione.

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