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Dl cura Italia, gli assunti dopo il 23 febbraio rischiano l’esclusione dai trattamenti di integrazione salariale

Pubblicato il 19 marzo 2020 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Da una prima lettura del decreto legge 18/2020 , che introduce rilevanti misure in tema di trattamenti di integrazione salariale per i lavoratori dipendenti da imprese costrette alla chiusura o al calo produttivo in conseguenza dell'emergenza Covid-19, emerge una non marginale anomalia per cui i lavoratori assunti a partire dal 24 febbraio 2020 sarebbero esclusi da ogni tipologia di ammortizzatore sociale.
A generare questa esclusione è l'articolo 19 contenente norme speciali in materia di trattamento ordinario di integrazione salariale e assegno ordinario, il cui comma 8 prevede che «i lavoratori destinatari delle norme di cui al presente articolo devono risultare alle dipendenze dei datori di lavoro richiedenti la prestazione alla data del 23 febbraio 2020».
Conseguentemente, i neo assunti dal 24 febbraio al 16 marzo da imprese cui si applica la Cigo e l'assegno ordinario (industria e commercio con più di 5 dipendenti) non potrebbero accedere all’integrazione salariale, ponendosi nella rischiosa situazione di poter essere licenziati per giustificato motivo oggettivo connesso a ragioni economiche, licenziamento comunque inattuabile stante l’articolo 46 dello stesso decreto legge che pone un divieto espresso di recesso dal contratto per giustificato motivo oggettivo in base all’articolo 3 della legge 604/1966.
La medesima previsione è contenuta nella normativa sulla cassa integrazione in deroga «per i datori di lavoro del settore privato, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti, per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario» (articolo 22), il cui trattamento viene riconosciuto «limitatamente» ai dipendenti in forza al 23 febbraio 2020 (comma 3).
Si tratta di una esclusione, probabilmente frutto di una non attenta valutazione del legislatore, forse conseguenza del fatto che il requisito di essere in forza presso un'azienda alla data del 23 febbraio 2020 era già presente nel decreto legge 9/2020 (articolo 13, comma 5) con riguardo ai trattamenti di integrazione salariale previsti per le sole «unità produttive site nei comuni individuati nell'allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° marzo 2020».
Tuttavia, mentre con il decreto legge 9 era forse opportuno circoscrivere l'applicabilità dei trattamenti nei casi di sospensione dei rapporti di lavoro ai soli lavoratori in forza al 23 febbraio 2020 (data che coincide con il primo provvedimento governativo, il Dl 6/2020, contenente misure urgenti per evitare la diffusione del Covid-19 a valere per i comuni costituenti la prima zona rossa), si ritiene che la medesima limitazione nell'impianto del decreto legge 18/2020 sia del tutto incongrua, poiché si trascura che tale provvedimento è conseguenza delle scelta operata dal Governo di chiudere buona parte delle attività imprenditoriali a partire dal 12 marzo 2020, data in cui è entrato in vigore il Dpcm 11 marzo 2020.
Nella fase di conversione in legge del decreto 18/2020 è possibile che tali disposizioni siano oggetto di un più attento esame da parte del legislatore, anche in considerazione del fatto che una parte del mondo produttivo non ha interrotto le proprie attività dopo l'11 marzo 2020, ma potrebbe aver bisogno di ricorrere alla sospensione dei rapporti di lavoro e dei relativi trattamenti per ragioni comunque connesse alla contrazione economica e le incertezze che sta determinando nelle scelte degli operatori economici, o comunque per favorire le operazioni di sanificazione degli ambienti di lavoro previste dal Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro siglato dalle parti sociali il 14 marzo 2020.

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