Il premio di cento euro deve essere calcolato in base al rapporto tra le ore lavorate in azienda nel mese di marzo e quelle contrattualmente lavorabili nello stesso mese.
È questo il criterio individuato dall’agenzia delle Entrate nella circolare 8/2020 per quantificare il premio non imponibile previsto dall’articolo 63 del decreto legge 18/2020 in funzione delle giornate di lavoro prestate presso la sede aziendale.
La premessa è che il criterio di calcolo a ore ha un po’ sorpreso, considerato che la norma fa riferimento ai giorni lavorati nel mese di marzo, sebbene tale criterio sia maggiormente rappresentativo dell’effettiva prestazione resa presso la normale sede di lavoro. Applicando questo criterio, nessun dubbio sul fatto che il numeratore di questo rapporto (ore lavorate/ore lavorabili) sia costituito dalle ore effettivamente svolte presso l’ordinaria (o secondaria) sede di lavoro aziendale, o anche in missione, escludendo invece le ore svolte con modalità di smart working.
Il denominatore è invece costituito dalle ore contrattualmente lavorabili del mese, che dovrebbero essere considerate con riferimento all’orario contrattuale di lavoro del singolo dipendente (per un lavoratore con settimana lavorativa corta a 40 ore, posto che i giorni lavorabili di marzo sono 22, le ore lavorabili dovrebbero essere 22 x 8 = 176).
Ne consegue che, per esempio, a fronte di 104 ore di prestazione svolta in azienda e 72 ore con modalità di lavoro agile, e un orario contrattuale pieno di 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana, il risultato del rapporto 104/176, pari al 59,09% dovrebbe rappresentare la percentuale del premio spettante, pari cioè a 59,09 euro (stesso risultato si raggiungerebbe utilizzando il criterio dei giorni lavorati sui giorni lavorabili).
Maggiori dubbi invece lascia la risposta fornita dall’Agenzia, con riferimento al caso in cui nel mese di marzo ci siano state assenze per ferie o malattia. Secondo l’amministrazione finanziaria queste assenze non dovrebbero essere considerate né al numeratore né al denominatore del rapporto che determina la percentuale di premio spettante, con la conseguenza che queste assenze di fatto non comporterebbero una riduzione del premio. Ad esempio, un lavoratore che si è recato in azienda 22 giorni riceverebbe 100 euro come quello che ha lavorato 17 giorni e 5 è stato in ferie.
Questa risposta lascia qualche perplessità considerato l’obiettivo dell’incentivo quale richiamato dalla stessa Agenzia, cioè quello di premiare coloro che hanno continuato a lavorare con modalità ordinarie, recandosi in sede ed esponendosi quindi a un rischio.
Forse l’Agenzia ha tutelato queste assenze, in quanto le ha considerate direttamente collegate all’emergenza Covid-19, posto che l'utilizzo delle ferie era sollecitato dai primi Dpcm di contenimento del contagio e che le malattie potrebbero essere causate dal virus.
Inoltre, rimane ancora da capire se questo criterio sia applicabile solo per queste assenze, o si possa estendere anche ad altre tipologie di assenze (come permessi, infortunio professionale), posto che la stessa Agenzia sembrerebbe richiamarlo anche per l’ipotesi di aspettativa senza retribuzione.