La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con l’approfondimento del 12 maggio 2020, procede all’esame dei Protocolli condivisi in base ai quali il Governo e le Parti Sociali hanno individuato le misure sanitarie e informative che i datori di lavoro devono adottare e i lavoratori rispettare, al fine di mettere in sicurezza, eliminare e prevenire il contagio da Covid-19 nei luoghi di lavoro.
L’INAIL tutela tali affezioni morbose, inquadrandole, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro: in questi casi, infatti, la causa virulenta è equiparata a quella violenta. In tale ambito delle affezioni morbose, inquadrate come infortuni sul lavoro, sono ricondotti anche i casi di infezione da nuovo Coronavirus occorsi a qualsiasi soggetto assicurato dall’Istituto.
Pertanto, nel caso in cui risultasse provato che il lavoratore abbia contratto il virus nell’ambiente di lavoro e fosse riscontrata la mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure imposte dalla normativa sopra citata, questi risponderà del reato di lesioni personali (gravi o gravissime e, comunque aggravate dall’averle commesse con la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, a norma dell’articolo 590 del codice penale) o, nel caso di decesso, di omicidio per colpa grave (articolo 589 del codice penale).
Il datore di lavoro che abbia scrupolosamente attuato le prescrizioni imposte può dimostrare, sulla base di documenti di ogni genere, di avere adottato tutte le cautele e le misure fissate nei Protocolli e nel D.L. n. 18/2020. Ciò non toglie che gli ispettori addetti all’indagine hanno il potere-dovere di accertare se le misure siano state effettivamente adottate e, in tal caso, se eseguite o fornite da soggetti professionalmente competenti; se siano corrette, adeguate e sufficienti ovvero, nel caso in cui, per via delle piccole dimensioni dell’attività, abbia personalmente provveduto l’imprenditore; se effettuate con prodotti e tecniche idonei e con le necessarie “formazione” e “informazione” proprie e dell’unico o dei pochi dipendenti.
Nel caso in cui, ricevuta la notizia di un “infortunio da Coronavirus”, fossero disposti sequestri, un’idonea “salvaguardia” potrebbe essere quella di fissare un tempo massimo di efficacia trascorso il quale, tali provvedimenti perdono efficacia con la conseguente immediata revoca e restituzione del bene all’imprenditore e ripresa dell’attività produttiva.
È necessario, osserva la Fondazione Studi, apportare un drastico limite alla durata delle indagini nel caso in cui l’imprenditore abbia dimostrato di avere attuato in maniera integrale e corretta le misure previste dai Protocolli proprio allo scopo di evitare una inutile “esposizione” di un innocente alla gogna del procedimento penale. Infine, una norma finalizzata a corroborare la presunzione assoluta di innocenza dell’imprenditore “virtuoso” potrebbe essere quella in cui si prevedesse l’immunità dalla responsabilità penale nel caso in cui egli abbia adottato - in maniera conforme e adeguata - tutte le misure previste dai Protocolli condivisi.
La stessa Corte di Cassazione ha previsto che non risponde delle lesioni personali subite dal lavoratore, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia.