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Tempo determinato, rinnovi e proroghe senza causali

Pubblicato il 21 maggio 2020 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Debutta con sorpresa il nuovo regime di acausalità previsto dal decreto Rilancio (Dl n. 34/2020) per i contratti a termine e di somministrazione. L’articolo 93 del testo apparso in gazzetta ufficiale, infatti, contiene un inciso (si fa riferimento ai contratti in essere «alla data del 23 febbraio») che non c’era nelle bozze circolate nei giorni scorsi e che cambia in maniera rilevante il perimetro delle nuove regole.
La norma consente di non indicare la casuale, fino al prossimo 30 agosto, al rinnovo o alla proroga dei contratti a termine che erano in corso di esecuzione alla data del 23 febbraio 2020. Una innovazione importante, ma di portata molto limitata: vengono esclusi dal nuovo regime tutti i contratti scaduti prima del 23 febbraio scorso, così come quelli stipulati per la prima volta in seguito a tale data; per questi rapporti resta obbligatorio il regime previsto dal decreto Dignità, e quindi va indicata la casuale qualora sia necessario un rinnovo (e in caso di proroga che allunghi il rapporto oltre i 12 mesi complessivi).
A parte questa distinzione cronologica, del tutto irrazionale, la norma contiene alcune imprecisioni che fanno sorgere importanti dubbi interpretativi.
Il primo dubbio riguarda la durata cui possono arrivare i contratti prorogati o rinnovati utilizzando il regime acausale. La legge non chiarisce se il 30 agosto debba essere considerato come data ultima per la sottoscrizione di un accordo di proroga o rinnovo, la cui durata potrà raggiungere quella prevista dalle regole ordinarie o se, invece, costituisca la data entro cui deve scadere il contratto. In attesa che la legge di conversione chiarisca questo dubbio, le imprese dovranno necessariamente adottare la lettura più prudente, stipulando proroghe e rinnovi acausali con una durata massima che non superi il 30 agosto.
Un altro dubbio interpretativo importante riguarda l’inciso iniziale della norma in cui si prevede che la facoltà di non apporre la causale viene riconosciuta «per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19».
Da più parti è stato rilevato che questo inciso deve essere riferito alla generica necessità del sistema economico di agevolare la ripartenze delle imprese. È una lettura intelligente, probabilmente coerente con le intenzioni del legislatore; tuttavia, non va sottovaluto il rischio che questa interpretazione non coincida con quella dei giudici che saranno chiamati a valutare la norma. Di fronte a una norma che precisa che un contratto serve per il «riavvio delle attività», cosa impedisce a un interprete di sostenere che il regime di acasualità è applicabile solo alle imprese che hanno l’esigenza di far ripartire l’attività dopo l’emergenza sanitaria?
Per risolvere questi dubbi, c’è solo uno strumento: correggere, in sede di conversione del decreto, gli aspetti oscuri della norma. Un intervento doveroso per far funzionare una norma molto importante per le imprese e i lavoratori, a cui offre la possibilità di continuare a operare in un momento difficile come quello attuale.

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