L’articolo 122, D.L. 34/2020 detta regole in comune per l’utilizzo dei crediti di imposta per canoni di locazione, interventi sugli ambienti lavorativi, acquisto di dispositivi di protezione, spese di sanificazione e persino sostenute per le vacanze, che può passare attraverso: la compensazione in F24 da parte del diretto beneficiario, senza applicazione del limite annuo di un milione di euro (che ritornerà a 700.000 euro dal 2021), né di quello di 250.000 proprio dei crediti indicati nel quadro RU del modello Redditi; la cessione, anche parziale, a terzi, ivi compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, entro il 31 dicembre 2021. Gli acquirenti potranno poi utilizzare, a loro volta, il credito acquisito in compensazione (non a rimborso) «con le stesse modalità con le quali sarebbe stato utilizzato dal soggetto cedente» (dovrebbe essere consentita una nuova cessione). Un fattore che le norme non prendono in considerazione è il corrispettivo che i cessionari saranno disposti a riconoscere, e il regime fiscale dello “spread”, cioè la differenza sul nominale. È prevedibile che la cessione avvenga (come già accaduto per i crediti da ecobonus e sismabonus) “a sconto”, ossia ad un corrispettivo inferiore al valore nominale, e più sul mercato finanziario l’offerta supererà la domanda, più il prezzo sarà scontato. Ma se chi cede il credito è una impresa, qual è la disciplina fiscale dello “sconto”? L’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello n. 105/2020, ha qualificato come sopravvenienza attiva (imponibile sin dall’origine) il differenziale a favore dell’acquirente, dal che si dovrebbe dedurre che, per il cedente, si tratta di un costo deducibile, pena una asimmetria di difficile giustificazione.