Il riconoscimento dell'infortunio o della malattia professionale da parte dell'Inail non comporta automaticamente la responsabilità del datore di lavoro per i danni sofferti dal dipendente. È onere del lavoratore, che abbia contratto una malattia professionale, dimostrare l'inadempimento datoriale e il nesso di causalità con il danno dal medesimo sofferto.
La Corte di cassazione (ordinanza n. 10404 del 1° giugno 2020) ha espresso questi principi in linea con un proprio consolidato insegnamento, osservando che la responsabilità datoriale per la mancata adozione delle misure idonee alla tutela dell'integrità fisica dei lavoratori discende, in primis, da norme specifiche collegate alle lavorazioni svolte e al settore merceologico o produttivo in cui opera l'impresa. Se, invece, non vi sono norme speciali alle quali potersi riferire, la responsabilità datoriale deriva dall'articolo 2087 del Codice civile, a norma del quale l'imprenditore ha l'obbligo di adottare, nell'esercizio della propria attività, tutte le misure necessarie, secondo le conoscenze tecniche e le esperienze acquisite, alla salvaguardia dell'integrità fisica e della personalità morale dei propri dipendenti.
L'ordinanza della Corte di legittimità è autorevole conferma dei principi espressi con le recentissime circolari Inail (la n. 13 del 3 aprile 2020 e la n. 22 del 20 maggio 2020) sulla equiparazione del contagio da Covid-19 all'ipotesi di infortunio sul lavoro, perché consente di avvalorare la tesi secondo cui, anche in questo caso, la responsabilità dell'impresa non interviene sul mero presupposto che l'infortunio sia riconducibile all'attività lavorativa.
Al contrario, anche in presenza di affezione da coronavirus ascritta all'ambiente di lavoro, la responsabilità (civile o penale) dell'impresa può intervenire solo se non sono state adottate le misure fissate dalle norme speciali introdotte nel periodo di emergenza sanitaria.
Il riconoscimento dell'origine lavorativa del contagio da Covid-19, cui per effetto delle circolari Inail si perviene attraverso una indagine probabilistica sul rischio elevato di contagio per le prestazioni che comportano “costante contatto con il pubblico”, prescinde da una ipotizzabile responsabilità del datore di lavoro. L'Inail lo dice a chiare lettere e afferma che “il riconoscimento dell'origine professionale del contagio (…) è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa di contagio”.
La Cassazione avalla questa interpretazione dell'istituto assicurativo e ribadisce che, affinchè vi sia responsabilità datoriale, è necessario un inadempimento rispetto alle norme speciali, le quali in materia di coronavirus sono costituite dai protocolli di contenimento e dalle linee guida governativi e regionali (di cui all'articolo 1, comma 14, del Dl n. 33 del 16 maggio 2020).
È confermato, dunque, che se l'impresa rispetta e adotta le misure di contenimento fissate nel protocollo condiviso del 24 aprile 2020, recepito dal Dpcm del 26 aprile 2020, così come dei protocolli regionali e delle linee guida emanati dalle autorità centrali e periferiche, “sarebbe molto arduo”, per utilizzare le stesse parole dell'Inail, ipotizzare una responsabilità nei suoi confronti.