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Infortunio da coronavirus: datore non responsabile se applica i protocolli

Pubblicato il 10 giugno 2020 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Il tema della responsabilità per la sicurezza e la salute dei lavoratori nel contesto emergenziale Covid-19, che molto aveva preoccupato i datori di lavoro e suscitato non poche polemiche, ha trovato da ultimo una positiva “definizione” per mano del legislatore.
Con la legge di conversione del decreto 40/2020, è stato infatti introdotto l’articolo 29 bis rubricato «Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da Covid-19» in base al quale «ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Covid-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto legge 16 maggio 2020, numero 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». La norma ha il pregio di individuare chiaramente i limiti della responsabilità del datore di lavoro secondo l’articolo 2087 del Codice civile nell’ambito dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, colmando di contenuto una norma – l’articolo 2087 e il suo dovere generale di protezione a favore dei lavoratori – che, diversamente, sarebbe stata eccessivamente ampia, comportando un alto rischio di contenzioso per le aziende, con tutte le possibili criticità del caso, anche probatorie, oltre che un’estrema difficoltà nel prevedere gli esiti del giudizio.
L’intervento normativo si è reso necessario a fronte della disposizione contenuta nell’articolo 42 del Dl 18/2020, il quale ha qualificato come infortunio, ai fini assicurativi, la contrazione del virus in occasione di lavoro, riconoscendo la copertura Inail.
Una previsione normativa di questa portata ha giustamente destato da subito non poche preoccupazioni in capo alle imprese, poste di fronte a un fattore di rischio nuovo (il virus), rispetto al quale le conoscenze delle misure di prevenzione e protezione cambiano costantemente e in tempo reale, ben consci peraltro della natura dell’articolo 2087 del Codice civile quale norma aperta, che pone a loro carico l’obbligo di massima protezione possibile in favore dei dipendenti occupati, implementando tutte le misure di protezione materialmente adottabili secondo lo stato della conoscenza tecnica e scientifica.
L’articolo 2087 del Codice civile prescrive, infatti, che «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro», imponendo quindi un obbligo generale di disposizione di tutte le misure necessarie per prevenire eventuali rischi.
Nel tempo la giurisprudenza è intervenuta individuando nella «massima sicurezza tecnologicamente possibile» il limite di diligenza e la tutela concretamente esigibile dal datore di lavoro, criterio questo che tuttavia, nei tempi incerti che stiamo vivendo, risulta di difficile attuazione, considerato che le misure tecniche e le buone prassi cui conformare l’obbligazione di sicurezza in tema di Covid-19 sono ancora troppo recenti e in costante evoluzione e non possono ancora fondarsi su regole certe e assolute di pronta e sicura applicazione.
A fronte di un così ampio obbligo di protezione posto dall’articolo 2087 nei confronti del Covid-19, e considerato l’attuale stato di conoscenza dei fattori di prevenzione dal virus, era fondato il rischio di un possibile contenzioso a danno delle aziende e un freno alla riapertura delle attività economiche, al contrario auspicabile in questa fase di ripresa. Ecco dunque che l’articolo 29 bis è intervenuto correttamente a garanzia di datori di lavoro e lavoratori, prevedendo che le imprese assolveranno il proprio obbligo di tutela della salute e della sicurezza ex articolo 2087 del Codice civile, rispetto al Covid-19, adottando tutte le misure di prevenzione e contenimento del contagio definite, in primis, dal protocollo condiviso sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, poi ratificato sia nel Dpcm del 24 aprile 2020 che nel Dl 33/2020, nonché dagli altri protocolli di settore eventualmente applicabili.
Ai datori di lavoro, soprattutto nella fase della ripresa, non potranno dunque essere richieste non meglio identificate misure di prevenzione diverse da quelle previste dai protocolli di protezione, così riducendosi auspicabilmente il rischio del contenzioso e l’aleatorietà a esso connessa, consentendo ad aziende e lavoratori di affrontare con maggiore serenità la fase della ripresa che ci attende.


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