Dal 1° luglio il bonus Renzi lascerà il passo ai più favorevoli trattamenti integrativi dei redditi di lavoro dipendente e assimilati introdotti dal decreto legge 3/2020.
L’articolo 1 del decreto introduce infatti un trattamento integrativo, non imponibile, di importo pari a 600 euro per il 2020 elevati a 1.200 euro per il 2021; il bonus mensile erogabile, da rapportarsi all’effettivo periodo di lavoro, è quindi pari a 100 euro (in luogo degli 80 previsti dal bonus Renzi).
L’ambito di applicazione soggettivo include i titolari di redditi di lavoro dipendente e assimilati - articolo 49, comma 1, lettera a) e articolo 50, comma 1, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis), l) del Tuir -, i quali, nell’anno di erogazione, registrino un reddito complessivo non superiore a 28mila euro. La platea di interessati dalla nuova misura, quindi, si presenta più ampia rispetto a quella del bonus Renzi (riconosciuto a fronte di un reddito complessivo annuo non superiore a 26mila euro), ferma restando l’esclusione delle persone «incapienti». Tuttavia, per effetto dell’articolo 128 del decreto rilancio, viene erogato comunque a chi diventa incapiente per effetto delle misure di prevenzione e contenimento dell’epidemia (ad esempio a seguito di cassa integrazione).
Il novero degli interessati dalla riduzione del cuneo fiscale, peraltro, è ancor più ampio se si considera che l’articolo 2 del decreto prevede, per il 2020, un’ulteriore detrazione d’imposta per i titolari di redditi di lavoro dipendente e assimilati con reddito complessivo compreso tra i 28mila e i 40mila euro annui, da rapportarsi al periodo di lavoro e di ammontare inversamente proporzionale al reddito complessivo del dipendente. Infatti per questi ultimi i 100 euro mensili riconosciuti a chi guadagna 28mila euro scendono a 16 con un reddito di 39mila e si azzerano a 40mila.
In base all’articolo 3, comma 2, del Dl 3/2020 il reddito complessivo va computato al lordo della quota esente dei redditi agevolati per i docenti e ricercatori rientrati dall’estero (articolo 44, comma 1, Dl 78/2010) e per i lavoratori impatriati (articolo 16 del Dlgs 147/2015), ma al netto di quello dell’immobile adibito ad abitazione principale e delle relative pertinenze.
Da un punto di vista operativo, il trattamento integrativo dovrà essere riconosciuto in via automatica dai sostituti d’imposta, che dovranno ripartirlo fra le retribuzioni erogate da luglio, maturando, nei confronti dell’Erario, un credito d’imposta di pari ammontare da utilizzare in compensazione in base all’articolo 17 del Dlgs 241/1997.
Successivamente, in sede di conguaglio di fine anno, i sostituti dovranno verificare l’effettiva spettanza dei benefici, procedendo al recupero, nei confronti dei lavoratori, di quanto impropriamente riconosciuto. L’operazione, se relativa a somme eccedenti i 60 euro, dovrà avvenire in otto rate di pari ammontare a partire dalla prima retribuzione interessata dagli effetti del conguaglio di fine anno.
La situazione economico-lavorativa attuale, però, potrebbe far maturare il diritto al trattamento a chi in condizioni normali guadagnerebbe di più di 28mila o 40mila euro. Di conseguenza il datore di lavoro potrebbe già tener conto della riduzione prospettica della retribuzione ed erogare il bonus mese per mese. In alternativa potrebbe riconoscerlo a fine anno.
L’agevolazione del trattamento integrativo è stata originariamente concepita come misura “ponte” verso una complessiva revisione degli strumenti di sostegno al reddito e del sistema delle detrazioni per i percettori di reddito di lavoro dipendente ed assimilato: è pertanto probabile – oltre che auspicabile - che tale intervento programmatico verrà realizzato nel più ampio disegno di riforma fiscale all’esame del Governo.