Il nostro ordinamento giuridico, nell'individuare le tutele rispetto ai licenziamenti illegittimi, stabilisce che la reintegrazione, ove prevista, possa essere sostituita, a scelta del lavoratore, da un'indennità sostitutiva.
A tale proposito, la Corte di cassazione (sezione lavoro, 13 ottobre 2020, n. 22063) ha precisato che la scelta di una delle due prestazioni, una volta effettuata, diviene irrevocabile e per il lavoratore illegittimamente licenziato non è più possibile tornare sui propri passi. Di conseguenza, se il dipendente opta per l'indennità, egli rinuncia alla prestazione alternativa e tale opzione determina la definitiva risoluzione del rapporto di lavoro. Allo stesso modo, se il lavoratore riprende il proprio servizio, con tale comportamento manifesta una volontà che risulta incompatibile con la rinuncia alla prosecuzione del rapporto in favore dell'indennità.
Del resto, diversamente opinando, il rapporto di lavoro rimarrebbe perennemente in un inammissibile stato di incertezza circa la sua stabilità, che graverebbe in maniera esagerata sugli interessi del datore di lavoro, il quale, in base alla scelta del lavoratore (al quale è evidentemente attribuita una posizione di vantaggio), abbia predisposto una certa organizzazione aziendale o la abbia mantenuta.
Oltretutto, tale conclusione resta valida anche nel caso in cui la scelta sia stata compiuta dopo la pronuncia di primo grado, ma quest'ultima sia stata impugnata. Si tratta, infatti, dell'esercizio di un diritto potestativo attraverso un atto negoziale autonomo, il quale determina che la preferenza, una volta esercitata, è irreversibile e consuma il diritto di opzione in via definitiva.
Insomma: una volta operata la scelta, come precisato dal giudice del merito nelle argomentazioni integralmente riprese dalla Corte di cassazione, si determina la cosiddetta "concentrazione". Si tratta, in sostanza, del fenomeno in forza del quale l'alternativa è risolta, viene determinata l'unica prestazione e le altre si eliminano e che produce quindi l'effetto di «estromettere dall'obbligazione tutte le altre prestazioni, con esclusione di quella su cui la concentrazione è caduta».
Più in generale, in merito alla natura dell'indennità sostitutiva, dalla pronuncia della Cassazione emerge che la stessa nasce come istituto processuale per evolversi in istituto sostanziale nel momento in cui si sgancia dall'ordine di reintegrazione. In ogni caso, resta sempre legata al processo e dall'opzione del lavoratore per la stessa non può desumersi la sua equivalenza a un'indennità per recesso per dimissioni per giusta causa.
In definitiva, quindi, vi è un collegamento inscindibile tra la pronuncia giudiziale che decreta l'illegittimità del licenziamento e il diritto potestativo del lavoratore di chiedere l'indennità sostitutiva.
Tale diritto, una volta esercitato, produce degli effetti sostanziali che devono ritenersi irreversibili in quanto da essi deriva l'estinzione del rapporto di lavoro e la definitiva liberazione del datore di lavoro dall'obbligo di reintegrare il dipendente licenziato.