Nell'attuale quadro normativo processuale, che si fonda sul principio del libero convincimento del giudice e in assenza di una norma di “chiusura” sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, questi può porre a fondamento della decisione prove atipiche, non espressamente previste dal codice di rito ma dalla cui utilizzazione fornisca adeguata motivazione e che siano idonee a offrire elementi di giudizio sufficienti, non in contrasto dal raffronto con le altre risultanze del processo.
In relazione a tale principio, la Corte di cassazione (Terza Sezione civile) con l'ordinanza n. 24473 del 4 novembre 2020 ha, tra l'altro, ritenuto che fra tali prove rientrano certamente le prove e le dichiarazioni raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti.I fatti oggetto di ricorso riguardano la sentenza di condanna risarcitoria, in primo e secondo grado, del committente e dell'appaltatore per l'esecuzione di lavori di installazione di pannelli solari, in occasione dei quali un lavoratore subiva un grave infortunio per la caduta da un ponteggio.
La motivazione delle sentenze impugnate si fonda sulla operata «personalizzazione» facendo riferimento non solo alle conseguenze sulla sfera «relazionale ed esistenziale», ma anche alle gravi conseguenze subite dal lavoratore sul piano delle sofferenze morali e soggettive.La sentenza della Corte in esame entrando più in dettaglio, in tema di risarcimento del danno alla persona, non manca di evidenziare alcuni ulteriori principi, distinti per le varie fasi.
Partendo dal diritto positivo, si è ritenuto che la norma riconosce e disciplina solo il danno patrimoniale nelle forme del danno emergente e del lucro cessante. La natura del danno non patrimoniale, invece, deve essere interpretata secondo due categorie giuridiche: l'unitarietà rispetto a qualsiasi lesione e l'onnicomprensività con l'obbligo, da parte del giudice di merito, di tener conto ai fini risarcitori, di tutte le conseguenze derivanti dall'evento di danno, evitando in ogni caso duplicazioni attribuendo, ad esempio, nomi diversi a pregiudizi identici. Pertanto, nel caso della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico - come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali – e del danno cosiddetto esistenziale, appartenendo tali “categorie” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (articolo 36 della Costituzione).
Non costituisce invece duplicazione risarcitoria, come nel caso oggetto del ricorso in esame, la differente e autonoma valutazione compiuta dai giudici di merito con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute che, come stabilito dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 235/2014) “non è chiusa anche al risarcimento del danno morale” e oggi è normativamente confermato dalla nuova formulazione dell'articolo 138, lett. e), del Dlgs n. 209/2005 (Codice delle assicurazioni private), modificato dall'articolo 1 della legge n. 124/2017.