Non è conforme al diritto dell’Unione europea la norma italiana che, ai fini degli assegni familiari, non considera nella famiglia di uno straniero presente in Italia il coniuge e i figli non residenti nel nostro Paese. Lo ha deciso la Corte di giustizia dell’Unione europea a cui si è rivolta la Corte di cassazione nell’ambito di contenziosi in atto tra l’Inps e due stranieri.
Al primo, titolare di permesso unico (permesso di soggiorno a fini lavorativi), l’istituto di previdenza ha negato l’assegno per gli oltre due anni in cui moglie e figli hanno vissuto nel Paese di origine. La decisione è stata presa a fronte del fatto che l’articolo 2, comma 6-bis, della legge 153/1998 (di conversione del decreto 69/1988) esclude dal nucleo familiare dello straniero i componenti che non risiedono in Italia, salvo che lo Stato di origine del titolare del permesso di soggiorno preveda un trattamento di reciprocità per gli italiani o sia stata stipulata una convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia.
La Corte Ue (causa C-302/19) ritiene tale disposizione non conforme alla direttiva 2011/98, che stabilisce dei diritti per i lavoratori di Paesi terzi sulla base della parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato in cui lo straniero soggiorna. Questo perché le norme italiane considerano invece facente parti del nucleo familiare di un italiano gli altri componenti residenti all’estero.
Ragionamento analogo vale se lo straniero è titolare di un permesso di lungo periodo, anche se la direttiva di riferimento è la 2003/109/Ce che impone di far beneficiare i soggiornanti di lungo periodo dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda, in particolare, le prestazioni sociali.
Quindi, anche in questo caso, in linea generale, non si possono prevedere condizioni di trattamento differente per italiani e stranieri (la legge è sempre la 153/1988, articolo 2, comma 6-bis). Tuttavia, rileva la Corte (causa C-303/19), ci sarebbe la possibilità di escludere la parità di trattamento tra italiani e stranieri in base all’articolo 11, paragrafo 2, della stessa direttiva. Ma tale opzione deve essere espressa in sede di recepimento della direttiva nella legislazione nazionale. Cosa che l’Italia non ha fatto, e quindi ora non può applicare un trattamento differente al soggiornante di lungo periodo.