È nullo il licenziamento, perché intimato in frode alla legge, in quanto ha realizzato un'operazione complessivamente volta ad eludere le disposizioni imperative in materia di recesso del datore di lavoro, sottraendosi in tal modo ad un ordine di reintegra.
Un noto gruppo del settore retail, che era stato condannato a reintegrare un proprio dipendente in seguito all'accertata illegittimità di un precedente licenziamento, ha disposto la reintegra del lavoratore non presso il negozio ove questi era occupato in precedenza, bensì, adducendo intervenuti mutamenti strutturali e commerciali nell'originaria sede di lavoro, presso un diverso punto vendita ubicato in altra regione. Tuttavia, a soli 5 giorni dal trasferimento, la società ha operato una consistente riduzione del personale proprio presso il punto vendita di nuova adibizione del lavoratore appena reintegrato che è stato di nuovo licenziato.
Il dipendente si è opposto anche a tale ultimo licenziamento, risultando vittorioso in entrambi i gradi di giudizio. In particolare, secondo la ricostruzione della Corte d'Appello di Roma, il recesso, inserito nell'articolata operazione così ricostruita, è da ritenersi nullo in quanto atto in frode alla legge, anche in virtù del rilievo per cui la società, prima ancora che fosse disposto il trasferimento presso la nuova sede di lavoro, aveva già piena cognizione dell'esubero strutturale di quel punto vendita, in perdita da anni.
La società ha presentato ricorso in Cassazione adducendo sia l'inapplicabilità agli atti unilaterali del concetto di frode alla legge che il legislatore avrebbe riservato solamente ai contratti, sia l'intervenuta decadenza del lavoratore dall'impugnazione del trasferimento, ciò che avrebbe impedito ogni pronuncia al riguardo. La Suprema corte (sentenza 29007/2020), condividendo le argomentazioni del giudice d'appello e rigettando il ricorso datoriale, ha ritenuto innanzitutto pacificamente applicabile anche agli atti unilaterali il concetto di frode alla legge, sottolineando che la peculiarità di tale istituto risiede nel fatto che gli stipulanti raggiungono, attraverso accordi e atti atomisticamente legittimi, il medesimo risultato vietato dalla legge e rinvenendo, concordemente con il giudice del merito, l'evidenza dello schema fraudolento e dell'intento elusivo attuati dalla società nel collegamento negoziale tra il trasferimento presso il diverso punto vendita ed il successivo licenziamento collettivo.
La Cassazione ha altresì chiarito l'irrilevanza della mancata impugnazione del trasferimento da parte del lavoratore, non rinvenendo alcuna autonoma necessità d'impugnazione del singolo atto costitutivo della complessa fattispecie frodatoria, considerato lo stretto legame logico-giuridico intercorrente tra i due provvedimenti (trasferimento e licenziamento collettivo). L'avere tempestivamente impugnato l'atto finale della condotta illecita assunta dal datore di lavoro esonerava il lavoratore dalla necessità di contestare la legittimità del provvedimento emanato dalla società nell'esercizio dello ius variandi.
Vero è che la manifesta consequenzialità temporale dei due provvedimenti datoriali ha reso evidente lo schema negoziale pianificato, facendo emergere palese una certa spregiudicatezza dell'azienda nel perseguire scopi elusivi del provvedimento giudiziale di reintegra ottenuto dal lavoratore nel precedente contenzioso.