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Licenziamenti collettivi: controlli dei sindacati e controlli del giudice

Pubblicato il 30 dicembre 2020 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

La comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo, prevista dall'articolo 4, comma 3, della legge n. 223/1991 ha la precisa funzione di mettere le organizzazioni sindacali nelle condizioni di partecipare adeguatamente e attivamente a una procedura destinata a mutare la struttura aziendale. La stessa, quindi, deve consentire la verifica del nesso tra le ragioni alla base della necessità di licenziare personale in esubero e i soggetti che si intende mandare via, rendendo evidente la connessione tra le esigenze che hanno determinato l'avvio della procedura e l'individuazione del personale che si intende espellere.
Proprio a tal fine, la legge impone, per la regolarità della procedura, di indicare nella comunicazione sia i motivi che hanno determinato la situazione di eccedenza, sia il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale da licenziare.
Come posto in evidenza dalla Corte di cassazione (sezione lavoro, 16 dicembre 2020, n. 28816 ), non serve, invece, indicare i nominativi dei lavoratori che ricoprono la posizione considerata in esubero.
L'analisi dei giudici di legittimità in materia di licenziamenti collettivi, più precisamente relativa alla comunicazione alle organizzazioni sindacali, rileva anche per la riflessione fatta sulla scelta, operata dalla legge n. 223/1991, di procedimentalizzare il provvedimento datoriale di messa in mobilità prevedendo anche il passaggio dal vecchio controllo giurisdizionale ex post al nuovo controllo dell'iniziativa imprenditoriale di ridimensionamento dell'impresa esercitato ex ante dalle organizzazioni sindacali.
In sostanza, con la previsione dell'informazione e della consultazione preventiva dei sindacati secondo lo schema già da tempo adottato in relazione ai trasferimenti di impresa, il legislatore ha lasciato al giudice degli spazi di controllo solo residuali: in sede contenziosa non è più possibile sindacare i motivi alla base della riduzione di personale, ma si può accertare esclusivamente che l'operazione sia risultata corretta dal punto di vista procedurale.
Il che vuol dire, come posto in evidenza dalla Corte di cassazione, che il giudice non può essere chiamato a giudicare la presenza di effettive esigenze aziendali di riduzione o di trasformazione dell'attività produttiva, a meno che a sostegno della domanda giudiziale non siano poste contestazioni in ordine alla violazione delle prescrizioni in materia di informazione e consultazione sindacali con la prova di «maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità» poste in essere al fine di discriminare i lavoratori.
Infine, in materia di fungibilità dei dipendenti, i giudici hanno sancito che la stessa viene in rilievo con riferimento ai licenziamenti collettivi solo se un lavoratore, interessato dal recesso, riesca a dimostrare di possedere una professionalità fungibile: in tal caso, non è possibile limitarsi a compararlo con coloro che appartengono al medesimo reparto o settore interessato dalla riduzione. Del resto, la fungibilità rivela proprio l'idoneità del dipendente a occupare posizioni lavorative in reparti differenti in cui si è trovato a operare precedentemente in azienda.

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