La modifica in senso riduttivo delle mansioni del lavoratore non comporta, di per sé, la perdita di chance o di altre potenzialità occupazionali, né determina automaticamente la perdita di aggiuntive possibilità di guadagno. Come affermato dalla Corte di cassazione (sezione lavoro, 17 dicembre 2020, n. 29012 ), a tal fine è infatti necessario che il lavoratore offra la prova dell'ulteriore danno risarcibile.
Più precisamente, con particolare riferimento alla perdita di chance, i giudici hanno ricordato che per dimostrare tale danno, attuale e astrattamente risarcibile, è ben possibile basarsi su un calcolo di probabilità o su presunzioni, ma non è mai consentito sopperire alla mancanza di prova tentando di fare ricorso a una valutazione equitativa ai sensi dell'articolo 1226 del Codice civile. Del resto, tale articolo ha la sola finalità di permettere di porre rimedio all'impossibilità di provare l'ammontare preciso di un certo danno risarcibile, danno la cui esistenza deve comunque risultare incontestata o essere stata adeguatamente provata.
In tal senso, al di là di quanto affermato nella pronuncia in commento, basti solo pensare al testo del predetto articolo, il quale afferma chiaramente che «Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa».
Come specificato dalla Corte di cassazione oltretutto, a ritenere diversamente, ovverosia facendo conseguire automaticamente al demansionamento un danno risarcibile da perdita di chance, si finirebbe per giungere alla conclusione, inammissibile, che in tutti i settori lavorativi vi sia una sorta di automatismo della carriera e, quindi, un'automaticità del raggiungimento del massimo livello lavorativo, a prescindere da qualsivoglia discrezionalità degli avanzamenti di carriera (che, invece, sussiste in quasi in tutti gli ambiti).
Nel caso di specie, il lavoratore, a sostegno della propria richiesta di danni patrimoniali e non patrimoniali qualificati come danni alla professionalità e perdita di chance, aveva addotto l'applicazione degli articoli 12 delle preleggi, 115 e 116 del Codice civile e 1226, 2087, 2697 e 2792 del Codice civile. Ma alla Corte di cassazione non è bastato: in assenza di un'adeguata prova dei presupposti per il riconoscimento dell'ulteriore pregiudizio, la decisione del giudice del merito di non riconoscere i danni connessi all'automatismo di carriera è stata confermata.