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Licenziamenti collettivi, un diritto la scelta di mansioni inferiori

Pubblicato il 20 gennaio 2021 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

L'accordo sindacale nel quale è prevista la facoltà dei dipendenti in esubero di richiedere l'adibizione a mansioni inferiori con novazione del rapporto di lavoro in base all'articolo 4, comma 11, della legge n. 223/1991, costituisce un diritto potestativo a favore del lavoratore cui il datore non può sottrarsi invocando il preteso carattere facoltativo della previsione contrattuale.
Nel contesto di una ristrutturazione aziendale che comporti, anche in previsione di un abbattimento dei costi di gestione, la riduzione degli organici, l'accordo collettivo nel quale le parti prevedono la possibilità per i dipendenti di manifestare la disponibilità a posizioni professionali più basse (non solo la mansione, ma anche la qualifica e la retribuzione) inibisce al datore il licenziamento e impone, invece, la novazione del rapporto con il lavoratore.
La Cassazione (sentenza n. 701, depositata lunedì 18 gennaio) è pervenuta a questa conclusione sul rilievo che l'interesse protetto dalla norma è quello del lavoratore a poter conservare l'occupazione, sacrificando il bagaglio professionale acquisito e le pregresse condizioni contrattuali ed economiche.
L'articolo 4, comma 11, della legge n. 223/1991 stabilisce, in proposito, che l'accordo sindacale raggiunto nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo possa prevedere il riassorbimento dei lavoratori eccedentari (in tutto o in parte) attraverso l'assegnazione di nuove mansioni di carattere peggiorativo (in deroga all'articolo 2103 del Codice civile). La Cassazione rimarca che questi accordi sindacali, se da un lato costituiscono il rimedio di cui i lavoratori dispongono per evitare il licenziamento, d'altro lato non sono vincolanti e i lavoratori vi si possono sottrarre accettando il rischio del licenziamento. In altri termini, la dequalificazione e le sue ricadute sul piano contrattuale non contrastano con l'esigenza di libertà e di dignità dei lavoratori, ma configurano una soluzione più favorevole nell'interesse del dipendente alla salvaguardia dell'occupazione. In tale contesto, l'esercizio da parte del lavoratore della facoltà di essere adibito a mansioni inferiori costituisce espressione di un diritto potestativo e comporta l'assunzione di una correlativa obbligazione a carico del datore di lavoro. Sulla scorta di queste argomentazioni, la Cassazione ha rigettato la lettura di segno contrario resa dalla Corte d'appello di Venezia, per la quale dalla disponibilità del lavoratore alle mansioni inferiori non era possibile evincere alcun obbligo a carico del datore di lavoro.
La Corte d'appello aveva rigettato la censura espressa dal lavoratore per impugnare il licenziamento, osservando che il consenso del dipendente alle attività in pejus, con passaggio da impiegato a operaio, non poteva essere equiparato all'esercizio di un diritto potestativo e non vincolava, pertanto, il datore di lavoro al suo accoglimento. La Cassazione ribalta la decisione e osserva che l'accordo sindacale nel quale al lavoratore è consentita l'opzione per l'assegnazione di nuove mansioni, anche inferiori, ex articolo 4, comma 11, della legge n. 223/1991 è preordinato alla tutela dell'interesse generale alla salvaguardia dei livelli occupazionali, vincolando le parti collettive e gli imprenditori che lo sottoscrivono.

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