Per provare il licenziamento non basta la cessazione definitiva dell'esecuzione della prestazione lavorativa, in quanto, secondo la Corte di cassazione (sezione lavoro, sentenza 149/2021 dell’8 gennaio), tale circostanza non è necessariamente l'effetto del recesso unilaterale del datore di lavoro, ma può essere sintomatica di dimissioni o di risoluzione consensuale del rapporto.
La cessazione dell’esecuzione della prestazione lavorativa, insomma, è solo un dato che può giustificare, se accompagnato da altri elementi, il motivato convincimento del giudice che il rapporto di lavoro si sia risolto per iniziativa datoriale. Da sola, invece, non è una valida prova, essendo una circostanza di fatto di significato polivalente.
Del resto, già in passato (ad esempio nella sentenza 13195/2019) la Corte di cassazione ha affrontato la questione rilevando che la cessazione non equivale a estromissione, che è un termine privo di immediato riscontro nel diritto positivo al quale va attribuito un significato normativo, sussumendolo nella nozione giuridica di licenziamento, da intendersi come allontanamento del lavoratore dall'attività lavorativa come effetto della volontà del datore di lavoro di esercitare il proprio potere di recesso.
La conclusione di tali riflessioni è, quindi, che il lavoratore che adduca di essere stato licenziato oralmente non può limitarsi a dimostrare che il rapporto si è interrotto, ma a tale circostanza deve aggiungerne altre, dando complessivamente una prova idonea a dimostrare che detta interruzione deriva da una volontà datoriale.
Con l'occasione, la Corte di cassazione ha precisato anche che, in giudizio, il convenuto è gravato dall'onere probatorio in ordine alle eccezioni proposte solo quando l'attore ha adeguatamente provato i fatti posti a fondamento della sua pretesa. Con la conseguenza che, se le prove sulle circostanze dedotte dal convenuto a confutazione delle domande di controparte sono insufficienti o mancanti, tale circostanza non dispensa la controparte dall'onere di dimostrare in maniera adeguata la fondatezza delle proprie pretese.
Nel caso di specie, il lavoratore lamentava di essere stato licenziato verbalmente a marzo 2007, ma tale circostanza era contraddetta dal dato documentale, dal quale emergeva che il recesso era stato intimato con missiva di novembre 2007 e che non era stato impugnato dal lavoratore, il quale, in giudizio, non era riuscito a dimostrare che il recesso era avvenuto precedentemente a tale seconda data. È stata disattesa quindi la posizione del dipendente, per il quale la prova del licenziamento orale avrebbe dovuto essere considerata una prova diabolica.