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Licenziamenti economici: per la Consulta è obbligatoria la reintegra se il fatto è insussistente

Pubblicato il 18 marzo 2021 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

La Corte costituzionale censura ancora una volta la legislazione in materia di licenziamenti. Questa volta si tratta della legge 92/2012. La Corte ritiene obbligatoria la reintegra anche nel caso del licenziamento per giustificato motivo oggettivo quando il fatto su cui è fondato il recesso sia manifestamente insussistente.
Con sentenza del 24 febbraio 2021, la Corte Costituzionale ha appunto ritenuto fondata la questione di costituzionalità posta in merito all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla legge Fornero, nella parte in cui prevede la facoltà e non il dovere del giudice di reintegrare il lavoratore arbitrariamente licenziato in mancanza di un giustificato motivo oggettivo. Secondo la Corte, ammettere questa facoltà crea una ingiustificata e irragionevole disparità tra il licenziamento per giusta causa, in cui l’obbligo di reintegra è previsto, e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui è invece lasciata al giudice la scelta tra reintegra e corresponsione di un’indennità.
La legge Fornero infatti prevede che nelle ipotesi di licenziamento per giusta causa, quindi fondato su ragioni disciplinari di gravissimo inadempimento degli obblighi di legge e di contratto, il giudice debba necessariamente disporre la reintegra del dipendente licenziato nel caso in cui il fatto materiale su cui è fondato il licenziamento risulti non sussistente. Viceversa, nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quindi fondato non sulla condotta del lavoratore, ma su ragioni tecniche, organizzative o economiche, l’insussistenza del motivo fondante lasciava al giudice la discrezionalità di scegliere tra la reintegra e la corresponsione di un’indennità.
La Corte ha ora ritenuto legittima la questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Ravenna. Le motivazioni della sentenza saranno depositate nelle prossime settimane. Consentire al giudice di decidere caso per caso se reintegrare oppure no il dipendente licenziato, comporterebbe – secondo la Corte – dare la possibilità di trattare in modo diverso situazioni identiche dal punto di vista della tutela applicabile.
Il margine di discrezionalità attribuito al giudice appare quindi eccessivamente ampio e, in assenza di criteri normativi, sembra porsi in contrasto con il principio del giusto processo posto dall’articolo 111 secondo comma e con il principio di pari dignità sociale ed uguaglianza di fronte alla legge stabilito dall’articolo 3 della Costituzione. Le motivazioni come detto non sono ancora depositate, tuttavia forse si potrebbe osservare che comunque la giusta causa e il giustificato motivo oggettivo costituiscono differenti ipotesi di risoluzione del rapporto, la prima riguardante una condotta di natura tale da interrompere con effetto immediato il vincolo fiduciario che deve sussistere tra il lavoratore ed il datore di lavoro. La seconda invece concerne ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento della stessa. A situazioni differenti potrebbero pertanto legittimamente corrispondere conseguenze differenti. Tuttavia, resta il fatto che l’elemento che principalmente caratterizza ambedue le due ipotesi è la risoluzione del rapporto fondata su un fatto dimostrato inesistente in giudizio. Perciò non pare giustificata la notevole discrezionalità lasciata al giudice nel caso del licenziamento per ragioni economiche. Il margine è in effetti molto ampio: si tratta infatti di far riavere oppure no il posto di lavoro perso. Viceversa, in esito alla sentenza della Corte i giudici non potranno più disporre della facoltà e condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno, dichiarando cessato il rapporto, ma dovranno necessariamente reintegrare il lavoratore sul posto di lavoro.