L’articolo 5, D.L. 41/2021, che – nel rispetto dei limiti comunitari del “quadro temporaneo” legato al Co-vid-19 – consente ai soggetti con partita Iva attiva al 23 marzo scorso, e che hanno subìto una riduzione «maggiore del 30%» del volume d’affari 2020 rispetto a quello del 2019, la possibilità di definire senza sanzioni o somme aggiuntive gli importi richiesti a fronte dei controlli automatizzati delle dichiarazioni. Ma cosa succede se la comunicazione riporta una richiesta di imposte o contributi che per il contribuente non sono dovuti? Il comportamento più logico è contattare l’ufficio per far rilevare l’errore e ottenere una comunicazione di regolarità della dichiarazione. Alcune volte, però, il problema non si risolve. In questo caso, l’avviso bonario è un atto impugnabile? L’Agenzia delle entrate sostiene di no (risoluzione n. 110/E/2010 e comunicato stampa del 23 maggio 2012), trattandosi di un semplice invito e non di una
pretesa impositiva definitiva. La Cassazione ha invece un orientamento, oramai consolidato: le comunicazioni di irregolarità – anche quelle “da 36-ter” costituiscono atti impugnabili, per quanto non citati all’articolo 19, D.Lgs. 546/1992, poiché portano a conoscenza del destinatario una pretesa già formata nell’an e nel quantum.