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Non tassati gli sconti ai dipendenti in linea con le pratiche commerciali

Pubblicato il 30 marzo 2021 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Nella risposta n. 221 del 29 marzo 2021 l'agenzia delle Entrate si occupa dell'imponibilità degli sconti che il datore di lavoro riconosce ai propri dipendenti. In particolare, nella fattispecie oggetto di interpello la società istante - che opera nel settore dell'abbigliamento mediante una produzione demandata a cosiddetti terzisti - commercializza i propri capi sia attraverso canali diretti (punti vendita di proprietà, gestiti da propri dipendenti), sia indiretti (negozi in franchising gestiti da dipendenti di partner commerciali, o contratti di somministrazione gestiti da dipendenti di partner commerciali).
Per rafforzare il proprio marchio l'impresa ritiene importante coinvolgere la forza lavoro lanciando un'iniziativa che prevede l'attribuzione ai propri dipendenti di una card (personale, non cedibile e non cumulabile con altre analoghe iniziative commerciali), con la quale viene riconosciuto uno sconto del 25% rispetto al prezzo di vendita.
A tale riguardo viene precisato che il prezzo scontato – maggiore del costo sostenuto dal datore di lavoro - è comunque superiore rispetto a quello praticato nei confronti dei soggetti legati da accordi di franchising o di somministrazione e che lo stesso potrebbe allinearsi a iniziative promozionali che in alcuni periodi dell'anno sono rivolte agli altri clienti.
L'Agenzia ricorda innanzitutto come in base al principio di onnicomprensività, che informa il reddito di lavoro dipendente, anche i compensi in natura risultano imponibili e che per la relativa determinazione occorra riferirsi al criterio del valore normale di cui all'articolo 9 del Tuir; tale disposizione prevede che per valore normale deve intendersi il «… prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso».
Proprio con riguardo agli sconti d'uso l'Agenzia richiama la risoluzione n. 26/E/2010, in cui era già stato precisato «che per i beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, il loro valore normale di riferimento possa essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l'eventuale convenzione stipulata con il datore di lavoro».
Ebbene, considerando le circostanze e i limiti entro i quali gli sconti sono riconosciuti ai dipendenti (comunque non superiori a quelli applicati ai soggetti legati da accordi di franchising o di somministrazione o a quelli riconosciuti alla clientela in alcun periodo dell'anno), l'Amministrazione finanziaria propende per la non imponibilità degli stessi, ritenendo il prezzo scontato pagato dai lavoratori pari al valore normale nel senso sopra riportato.
Nessun rilievo emerge, infine, con riferimento al fatto che la riduzione di prezzo venga riconosciuta attraverso una card, configurandosi la stessa come uno «strumento tecnico attraverso il quale viene consentita la fruizione dello sconto».

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