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Blocco dei licenziamenti: il recesso è possibile per cessazione dell’attività, anche senza liquidazione

Pubblicato il 12 aprile 2021 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Il decreto legge 41 del 22 marzo 2021 (Dl Sostegni) ha prolungato fino al 30 giugno 2021 il blocco dei licenziamenti individuali e collettivi per giustificato motivo oggettivo, già introdotto nel marzo 2021 dal decreto Cura Italia. La proroga è stata estesa fino al 31 ottobre per i dipendenti di aziende che fruiscono della casa integrazione in deroga e dell’assegno ordinario.
In merito alle esclusioni dal blocco, il Dl 41/2021 replica quasi le stesse disposizioni già introdotte dal Cura Italia e poi ripetute nei decreti che si sono succeduti: Dl Rilancio, (34/2020), Dl Agosto (104/2020), Dl Ristori (137/2020) e nella legge di Bilancio.
C’è però una differenza: la norma prevede che le sospensioni e preclusioni non si applichino nelle ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa oppure dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società, senza continuazione anche parziale dell’attività. Pertanto, nelle precedenti disposizioni l’esclusione era limitata alla cessazione dell’attività di impresa a seguito della messa in liquidazione. Ora invece, il decreto 41/2021 amplia le possibilità, consentendo la risoluzione del rapporto anche in assenza di liquidazione, se è intervenuta la cessazione definitiva dell’attività.
La liquidazione delle società di capitali è il processo che avviene a seguito dello scioglimento della società, volto a trasformare il patrimonio societario in denaro, per pagare i debiti sociali. Le cause di scioglimento della società sono elencate dal Codice civile all’articolo 2484.
Sono tre le fasi in cui si articola il procedimento di scioglimento della società e precisamente: 
- accertamento dell'esistenza di una causa di scioglimento della società;
- procedimento di liquidazione;
- estinzione della società.
Il verificarsi di una causa di scioglimento non determina l’immediata estinzione della società, ma la necessità di provvedere, attraverso il procedimento di liquidazione, al pagamento dei creditori sociali e alla ripartizione tra i soci dell’eventuale residuo. Dal momento della nomina dei liquidatori si può ritenere aperto il procedimento di liquidazione. I liquidatori sono incaricati di gestire la liquidazione e, salvo diversa disposizione statutaria ovvero adottata in sede di nomina, hanno il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società, tra essi ad esempio, la vendita dei beni sociali o l’esercizio in via provvisoria dell’attività di impresa.
La liquidazione si conclude nel momento in cui la società viene cancellata dal Registro delle imprese, così che la sua estinzione possa essere decretata sulla base di quanto previsto dall’articolo 2495 del Codice civile. E' evidente che la liquidazione di una società può essere - e solitamente è - un processo lungo e complesso. Quindi, con il Dl 41/2021, il legislatore ha evidentemente voluto dare maggiore libertà di movimento all’imprenditore che si trovi costretto a licenziare. Il problema può nascere dal fatto che la cessazione dell’attività è un concetto indefinito giuridicamente. Può accadere che un’azienda dopo aver cessato in via di fatto l’attività, la riprenda e ciò può prestarsi a intenti elusivi della norma. In altri termini, un imprenditore potrebbe decidere di cessare l’attività senza liquidare la società e licenziare i propri dipendenti. Successivamente, potrebbe riprendere l’attività, magari con un cambio di denominazione sociale, riassumendo solo i dipendenti graditi o altri lavoratori. È vero che la norma parla di cessazione definitiva dell’attività, ma qualcuno potrebbe essere tentato di compiere un’operazione come quella descritta, al fine appunto di tentare l’elusione del blocco dei licenziamenti.

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