Con una articolata ricostruzione interpretativa, l’Inps, con il parere conforme del ministero del Lavoro, tramite comunicato stampa ieri ha fatto sapere che non ci sono vuoti di cassa integrazione nella settimana dal 29 marzo al 3 aprile. «A breve» il comunicato sarà seguito da una circolare, sempre dell’istituto di previdenza.
Nel comunicato si afferma che la legge di Bilancio 2021 ha fornito 12 settimane di cassa Covid dal 1° gennaio al 31 marzo e il decreto legge Sostegni ulteriori 13 settimane dal 1° aprile al 30 giugno. Secondo l’Inps il primo giorno lavorativo dell’anno non è il 1° gennaio, ma il 4 gennaio. Conseguentemente le 12 settimane sono terminate il 28 marzo e non il 25 marzo.
A fronte di questo ragionamento l’istituto fa presente che, con l’annunciata circolare, la cassa integrazione introdotta dal Dl Sostegni con effetto 1° aprile 2021 sarà interpretata nel senso che l’istanza potrà essere fatta anche per i giorni della settimana antecedenti a quelli in cui si colloca il 1° aprile (che era un giovedì). In altri termini, la cassa integrazione potrà essere richiesta anche per i giorni dal 29 al 31 marzo. Secondo l’Inps, quindi, non ci sono vuoti, fatto salvo per le aziende che hanno iniziato a utilizzare la cassa dal 2 gennaio, per le quali le 12 settimane di cassa Covid sono terminate il 27 marzo per tornare a decorrere il 29 marzo.
Sebbene il comunicato stampa faccia riferimento alle sole 13 settimane, il problema riguarda anche i settori che utilizzano la cassa in deroga o il Fis per i quali sono state previste le 28 settimane oltre le prime 12 riconosciute dalle legge di Bilancio 2021.
A ogni modo, è apprezzabile lo sforzo dell’Inps e del ministero del Lavoro per cercare di risolvere un problema molto sentito dal mondo delle imprese e dei sindacati. Tuttavia, rimane ferma la necessità che venga approvata una norma che stabilisca la possibilità di richiedere la cassa Covid con decorrenza dal 26 di marzo e non dal 1° aprile.
La necessità di una norma deriva da due fattori di criticità che il comunicato stampa non risolve. La prima criticità sta nel fatto che la regola generale di molti settori (fra gli altri, il commercio o il turismo) è che tutti i giorni dell’anno sono utili allo svolgimento dell’attività lavorativa. Tuttavia, in relazione ai noti provvedimenti restrittivi, le aziende non hanno potuto svolgere attività nelle giornate di inizio anno. Sulla base di questi presupposti esse hanno dovuto necessariamente richiedere la cassa integrazione Covid nel rispetto della programmata settimana lavorativa di ciascun dipendente. In definitiva, il primo giorno lavorativo per centinaia di migliaia di aziende è stato il 1° gennaio e non il 2 o il 4. Peraltro, pur seguendo lo sforzo interpretativo dell’Istituto, per molte aziende il vuoto di cassa integrazione rimarrebbe almeno per le giornate dal 26 marzo al 28 marzo.
Qui, però, si innesta la seconda criticità che il comunicato stampa non risolve. Infatti, sebbene l’interpretazione dell’Inps e del ministero del Lavoro metta al riparo le aziende da eventuali dinieghi amministrativi, essa non le tutela da eventuali cause dei singoli lavoratori, volte a ottenere la retribuzione piena per le giornate interessate. E questo perché la legge dispone l’utilizzo delle nuove settimane a decorre dal 1° aprile e non dal 29 marzo.