Aveva suscitato scalpore e attirato numerose critiche l’ordinanza del 26 febbraio 2021 con la quale il Tribunale di Roma, in funzione del giudice del lavoro, aveva esteso anche ai dirigenti il divieto dei licenziamenti previsto dalla normativa emergenziale.
Ora, con la sentenza del 19 aprile 2021, il medesimo Tribunale di Roma (estensore Massimo Pagliarini), pronunciatosi su un licenziamento intimato in data 6 maggio 2020, è tornato sui propri passi affermando che il cosiddetto “blocco” dei licenziamenti, introdotto dall’articolo 46 del “Cura Italia” (Dl 18/2020, convertito in legge 27/2020) e più volte prorogato sin qui, non si applica alla categoria dei dirigenti.
Tale interpretazione sarebbe, secondo quest’ultima pronuncia, l’unica possibile alla luce non solo del chiaro dato letterale della disposizione, ma anche in considerazione della “filosofia” e dello “spirito” che sorregge l’eccezionale previsione del blocco dei licenziamenti e, più in generale, le altre norme introdotte in via emergenziale dal legislatore.
Il Tribunale di Roma ha, infatti, correttamente osservato, sulla base di una interpretazione sistematica che era stata suggerita anche su queste pagine, che il blocco dei licenziamenti è stato accompagnato da una generalizzata possibilità per tutte le aziende, anche quelle più piccole, di ricorrere agli ammortizzatori sociali.
Ad avviso del Tribunale romano, tale “simmetria” tra blocco dei licenziamenti e intervento della collettività generale (sotto forma di Cigo-Covid 19 e sue articolazioni) renderebbe l’intero sistema ragionevole e, soprattutto, legittimo a livello costituzionale. L’impossibilità (temporale) per il datore di esercitare un proprio diritto (quello di recedere dal rapporto di lavoro in presenza dei requisiti richiesti dalla legge) sarebbe, infatti, controbilanciata dalla possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali, con conseguente sostenimento dei relativi costi del lavoro a carico della collettività.
Tuttavia, come giustamente rilevato dalla sentenza in commento, tale binomio non opera nei confronti dei dirigenti, che restano esclusi dai trattamenti di integrazione salariale. Ne consegue che l’estensione del blocco dei licenziamenti ai dirigenti porterebbe, in mancanza della possibilità degli stessi di accedere alla cassa integrazione guadagni, all’irragionevole risultato – incompatibile anche con la libertà di iniziativa economica sancita dall’articolo 41 della Costituzione – che i costi della tutela occupazionale e reddituale dei dirigenti rimarrebbero in carico esclusivamente al datore di lavoro, e ciò pur in presenza di motivi che renderebbero legittimo il recesso dal rapporto di lavoro.
Sulla base di tali argomentazioni, il Tribunale di Roma ha esaminato il merito della controversia e ha dichiarato legittimo il licenziamento che era stato motivato sulla base di ragioni di riorganizzazione aziendale, di efficientamento e di contenimento dei costi che avevano condotto alla soppressione della posizione dirigenziale e alla ridistribuzione delle relative funzioni tra altri responsabili aziendali.
Benché la precedente ordinanza del Tribunale di Roma del 26 febbraio 2021 sia rimasta, a quanto consta, un unicum nel panorama giurisprudenziale italiano, è bene che il revirement sia stato effettuato, con una condivisibile ed esaustiva motivazione, dal medesimo Tribunale a poca distanza di tempo.