Quando il bene oggetto di una compravendita internazionale non giunge direttamente al cliente, ma la sua movimentazione s’interrompe per qualche ragione, possono esserci conseguenze di assoluto rilievo. Ancor più se si tratta di operazioni complesse (triangolari). Occorre distinguere fra “consegne” in senso proprio, che rompono l’unitarietà dell’operazione; consegne che non sono tali in ottica fiscale (“pseudo-consegne”) e quindi non hanno effetto interruttivo; vere “soste tecniche” che parimenti non incidono sulla continuità dell’operazione. Bisogna sempre considerare che, qualora non ci sia una vera “sosta tecnica”, la consegna dei beni è idonea a provocare un effetto interruttivo dell’operazione. Si rammenta infatti che, in base alla circolare 15/1980, la sosta tecnica sarebbe quella presso vettori/spedizionieri per il tempo necessario al raggruppamento o smistamento dei beni; e che questa non deve mai integrare un distinto rapporto di deposito (circostanza che può ravvisarsi nell’indicazione sui documenti di trasporto della destinazione del carico presso il luogo della sosta). Nella risposta a interpello n. 273/2020 si evidenzia che non ricorrono gli estremi della “sosta tecnica” nella spedizione di beni presso un magazzino in altro Stato UE, in attesa degli ordinativi dei clienti. Nonostante i beni siano destinati a rimanere stoccati per un breve periodo, il loro fermo presso la piattaforma logistica (in un rapporto di deposito) è idoneo a “spezzare” l’operazione, che quindi perde l’unitaria qualificazione di cessione intracomunitaria.