In base all'articolo 1751 del Codice civile, l'indennità sostitutiva di preavviso è la somma di denaro corrispondente alla retribuzione che il lavoratore avrebbe avuto diritto a percepire durante il periodo di preavviso contrattuale che il datore di lavoro, o egli stesso, non ha rispettato quando ha posto termine al contratto di lavoro. Il termine di preavviso è stabilito dai contratti collettivi a tutela dei lavoratori che perdono il posto, ma è previsto anche per il datore di lavoro che potrebbe incontrare difficoltà organizzative in caso di dimissioni immediate e tali da non rendere possibile la pronta sostituzione di quel dipendente nelle mansioni svolte.
Il recesso senza preavviso è consentito solo in limitate ipotesi, come il licenziamento, o le dimissioni, per giusta causa (articolo 2119 del Codice civile) oppure se la risoluzione del rapporto di lavoro avviene in modo consensuale, con un accordo tra le parti. In questo caso, infatti, manca un recesso unilaterale che giustificherebbe la concessione di un termine di preavviso in favore dell'altra. Quindi, l'indennità di preavviso non spetta sempre e soltanto al lavoratore: può essere riconosciuta anche in favore del datore di lavoro, se il suo dipendente si è dimesso senza rispettare il dovuto preavviso (articolo 2118 del Codice civile).
Una Corte di appello, in parziale accoglimento della richiesta di un agente, ha condannato il datore di lavoro al pagamento in suo favore dell'indennità prevista dall’articolo 1750 del Codice civile, ritenendo che il diritto alla stessa (come anche il diritto all'indennità dell’articolo 1751 del Codice civile) fosse soggetto al termine di prescrizione decennale e che tale termine, decorrente dalla risoluzione del rapporto
La Corte di cassazione, con sentenza 14062/2021, con orientamento nuovo, afferma il principio che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, le indennità spettanti sono assoggettate alla prescrizione quinquennale in base all’articolo 2948, numero 5, del Codice civile, e non all'ordinario termine decennale, a prescindere dalla natura, retributiva o previdenziale, dell'indennità medesima, ovvero dal tipo di rapporto, subordinato o parasubordinato, in essere, in ragione dell'esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall'eccessiva sopravvivenza dei diritti sorti nel momento della chiusura del rapporto.
La Suprema corte premette innanzitutto che, nella fattispecie in esame, il lavoratore non risulta aver proposto impugnazione nei confronti del rigetto della domanda relativa all'indennità dell’articolo 1751 del Codice civile e ribalta l'esito del giudizio di secondo grado. Rileva che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, tutte le indennità spettanti al lavoratore sono assoggettate alla prescrizione quinquennale e non all'ordinario termine decennale previsto dall’articolo 2946 del Codice civile. Questa previsione prescinde sia dalla natura, retributiva o previdenziale, dell'indennità che dal tipo di rapporto, subordinato o parasubordinato, in essere.
Secondo il giudice di legittimità, l'articolo 2948, numero 5, del Codice civile, disponendo prescriversi in cinque anni le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, trova la sua ragione giustificativa nell'opportunità di sottoporre a prescrizione breve i diritti del lavoratore che sopravvivano al rapporto di lavoro in quanto nati nel momento della sua cessazione, e di evitare in tal modo le difficoltà probatorie derivanti dall'esercizio delle relative azioni troppo ritardate rispetto all'estinzione del rapporto sostanziale (Cassazione 15798/2008).
Tale ratio legis sussiste per qualsiasi tipo di indennità, sia di natura retributiva sia previdenziale (Cassazione 4415/1983; 3410/1985; 7040/1986) e anche nel caso in cui si tratti di rapporto parasubordinato, quando sia a carico del datore di lavoro (Cassazione 10923/1994; 10526/1997). L'assenza di distinzioni nell'articolo 2948, numero. 5 del Codice civile, induce a includere nella sua previsione qualsiasi credito del prestatore di lavoro purché esso trovi causa nella cessazione del rapporto, e quindi anche l'indennità sostitutiva del preavviso. Su tali presupposti, la Suprema corte, nell'accogliere il ricorso della società, dichiara l'intervenuta prescrizione dell'indennità di mancato preavviso richiesta dall'agente.