Scatta l’accertamento induttivo puro quando l’assoluta inattendibilità delle scritture consente di prescindere completamente dalle stesse: la valutazione della sussistenza di tale presupposto, però, non richiede sempre un’ispezione o una verifica presso il contribuente, ben potendo emergere da dichiarazioni di terzi e indagini bancarie.
È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20436, depositata il 19 luglio 2021.
Il caso riguarda una Srl e il suo socio unico, ai quali erano stati notificati avvisi di accertamento a seguito di alcuni movimenti bancari, di consistente importo, individuati sul conto corrente del nipote del socio della società: movimenti che lo stesso nipote aveva qualificato interamente ascrivibili allo zio.
La vicenda giungeva dinanzi alla Corte di Cassazione e il contribuente lamentava, oltre alla mancata instaurazione del contraddittorio, l’illegittimità dell’accertamento induttivo operato in assenza di attività ispettiva o di controllo sulla contabilità, nonché l’omessa considerazione dei costi ai fini della rideterminazione induttiva del reddito.
Tralasciando le conclusioni raggiunte in merito all’omessa instaurazione del contraddittorio, giova evidenziare che, nel caso di specie, non erano mai state analizzate le scritture contabili della società, essendo l’intero accertamento induttivo fondato sulle dichiarazioni dell’unico socio, il quale aveva confermato che tutte le movimentazioni bancarie non erano state riportate nel bilancio.
Come ricorda tuttavia la Corte di Cassazione, il discrimine tra accertamento analitico-induttivo e accertamento induttivo puro sta proprio nel fatto che, nel primo caso, l’inattendibilità delle scritture contabilità è solo parziale (e, dunque, l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza non sono tali da consentire di prescindere dalle stesse), mentre nel secondo caso l’inattendibilità è assoluta, e la sua gravità consente di prescindere completamente dalle scritture contabili.
L’inattendibilità delle scritture, d’altra parte, non deve necessariamente essere valutata all’esito di una ispezione o una verifica presso il contribuente, ben potendo emergere anche da altri elementi, tra i quali possono assumere rilievo anche le dichiarazioni di terzi e le indagini bancarie.
Un altro importante principio ribadito nella sentenza in esame riguarda poi il riconoscimento dei maggiori costi nell’ambito dell’accertamento induttivo, con esclusivo riferimento però, alle imposte dirette.
Nel caso in cui sussistano i presupposti per l’accertamento induttivo puro, infatti, il rispetto del principio della capacità contributiva impone il riconoscimento non solo dei maggiori ricavi, ma anche dell’incidenza percentuale dei costi, che vanno quindi comunque detratti, sebbene in maniera presuntiva.
Da questa situazione deve pertanto esserne tenuta ben distinta un’altra, ovvero quella conseguente ad un accertamento presuntivo fondato su indagini bancarie: in quest’ultimo caso, infatti, è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, non potendo l’Ufficio riconoscerli forfettariamente (Cassazione, n. 24422/2018; Cassazione, n. 21828/2018; Cassazione, n. 22868/2017).