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Legittima la penale alta se l’ex dipendente viola il divieto di storno

Pubblicato il 25 agosto 2021 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Benché, apparentemente, la sentenza 22247/2021 della Cassazione in materia di obblighi di non concorrenza e non storno sembri essere meramente ricognitiva di orientamenti giurisprudenziali a dir poco consolidati, l’applicazione concreta che la Corte vi ha dato nell'occasione è destinata a lasciare il segno.
Quanto ai requisiti di validità del patto di non concorrenza e di quello di non storno, la pronuncia si è limitata a ribadire principi ben noti e unanimemente accolti: da un lato, infatti, è stata confermata l’inapplicabilità al divieto di storno dei requisiti di validità sanciti dall’articolo 2125 del Codice civile, con riferimento agli obblighi di non concorrenza, stante l’ontologica differenza tra le due pattuizioni; dall’altro, si è ribadito come il patto di non concorrenza sfugga alla censura di nullità ogniqualvolta il corrispettivo riconosciuto in favore del prestatore sia proporzionato alle restrizioni al medesimo imposte e quest’ultime non abbiano estensione tale da comprometterne ogni potenziale capacità reddituale ovvero lederne irrimediabilmente la professionalità.
Con riferimento al corrispettivo, occorre segnalare come la Corte abbia confermato l’erogabilità anche in corso di rapporto, il che avrà verosimilmente l’effetto di “neutralizzare” ulteriori pronunce sulla falsariga di quelle - invero minoritarie e non condivisibili - emesse da talune Corti territoriali (quella milanese in primis, si veda ultimo la pronuncia del Tribunale 1189 del 26 maggio 2021), laddove è stata dichiarata la nullità di patti di non concorrenza che prevedevano la corresponsione del compenso in costanza di rapporto perché, in tale ipotesi, il corrispettivo sarebbe stato non solo indeterminato bensì anche indeterminabile, in quanto ancorato all’effettiva durata del rapporto di lavoro.
È però con riferimento alla congruità della penale che la pronuncia non passa inosservata. Infatti la Cassazione - pur apparentemente limitandosi a richiamare il proprio costante orientamento, secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito circa la congruità è insindacabile, se fondato sulla corretta valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento - a ben vedere ha dato una “innovativa” applicazione a tali principi, ritenendo immune da censure la pronuncia emessa in appello che aveva condannato un ex dirigente di un istituto di credito al pagamento in favore della banca di una penale pari a quasi trecentomila euro (corrispondente, a quanto è dato capire dalla sentenza, a circa tre e volte e mezzo l’ultima retribuzione annua lorda), in ragione sia del ruolo apicale da costui rivestito che del pregiudizio sofferto dalla datrice di lavoro per effetto della perdita del cliente stornato in violazione degli obblighi assunti.
Un precedente, sia in termini assoluti sia in rapporto alla retribuzione, che con grande probabilità costituirà un punto di riferimento in tema di congruità della penale per la violazione dei patti successivi alla risoluzione del rapporto di lavoro.

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