Nel licenziamento per giusta causa il principio di immediatezza della contestazione non deve essere inteso in senso assoluto, in quanto, a parere della Corte di cassazione (sezione lavoro, 24 agosto 2021, n. 23332 ), così facendo si rischierebbe di ostacolare il corretto e puntuale accertamento dei fatti e delle vicende più complesse. Il predetto principio può quindi essere compatibile con un intervallo temporale più o meno lungo, se le circostanze del caso concreto risultano particolarmente laboriose e richiedono tempo per essere accertate e valutate.
Non è infatti possibile equiparare la mera possibilità di conoscenza di un illecito alla sua conoscenza effettiva, né è giusto che l'affidamento che il datore di lavoro ripone nella correttezza del dipendente possa risolversi a suo svantaggio (come accadrebbe se si applicasse il principio di immediatezza della contestazione in maniera rigida di fronte, ad esempio, a un'ipotesi di abuso di uno strumento di lavoro). In sostanza, non è possibile supporre che l'azienda sia stata tollerante senza considerare il livello di conoscenza, da parte della stessa, degli abusi posti in essere dal dipendente.
La Corte di cassazione ha quindi ritenuto di dare opportuna rilevanza all'interesse del datore di lavoro a non avviare procedimenti disciplinari senza aver prima acquisito i dati essenziali della vicenda che ne costituisce la base, interesse che va valutato alla pari di quello del lavoratore a che i fatti gli siano contestati entro un lasso di tempo ragionevole da quando sono stati commessi.
Se è quindi vero che il lavoratore deve sapere quali fatti gli sono addebitati con tempestività, è anche vero che il datore di lavoro non può essere gravato dell'onere di contestarli sino a che gli stessi non appaiano «ragionevolmente sussistenti», ovverosia sino a quando non ne abbia acquisito una «compiuta e meditata conoscenza».
In ogni caso, una considerazione relativa del concetto di immediatezza della contestazione non può prescindere da un'adeguata enunciazione delle ragioni che giustificano il ritardo.
Sul punto, come ricordato anche dai giudici, la dilatazione del tempo per procedere a una legittima contestazione è stata ritenuta giustificata quando il lavoratore ha commesso più fatti che convergono in un'unica condotta e che, quindi, impongono al datore di lavoro una valutazione globale e unitaria.
In linea con tale ragionamento, va ritenuto corretto che i fatti non contestati e posti in essere a distanza anche superiore a due anni dal recesso vengano considerati come circostanze idonee a confermare la rilevanza dei diversi addebiti posti alla base del licenziamento e a determinare la complessiva gravità del comportamento del dipendente. Ciò anche considerando il principio di immutabilità della contestazione, che preclude al datore di lavoro di licenziare per motivi diversi da quelli contestati.