Gli obblighi di comunicazione previsti in base all'articolo 4 del Dlgs n. 181/2000 e ribaditi dall'articolo 39 del Dl 112/2008, oltre che per i lavoratori subordinati e gli associati in partecipazione con apporto lavoratori, anche per i collaboratori coordinati e continuativi non si applicano nel caso in cui il collaboratore eserciti una professione intellettuale.
Lo ha sottolineato la Corte di cassazione nella sentenza n. 24082/2021 , depositata ieri, in cui è stata chiamata a giudicare sul caso della titolare di una farmacia rurale, sanzionata nel marzo del 2012 dalla Direzione provinciale del lavoro di Sassari per non avere comunicato prima dell'inizio dell'attività agli uffici competenti i dati di una farmacista che aveva operato come collaboratrice e – sempre entro le stesse tempistiche - per non avere consegnato una copia della dichiarazione o contratto o comunicazione di assunzione, nonché per non avere provveduto a registrare i suoi dati sul Libro unico del lavoro.
La titolare aveva fatto opposizione, rigettata tuttavia in entrambi i gradi di merito prima dal Tribunale e poi dalla Corte d'appello di Sassari.
Di parere opposto la Cassazione, secondo cui questi obblighi di comunicazione non possono trovare applicazione per quei rapporti che «pur rientrando in via astratta nella nozione della cosiddetta parasubordinazione, non comportino un rischio effettivo di abuso ed elusione della normativa inderogabile in materia di lavoro, tutelati dalla normativa citata». Fra queste attività lavorative – secondo i giudici di legittimità – rientrano proprio le professioni intellettuali sia perché in relazione a esse può ritenersi notevolmente mitigato il rischio di condotte elusive e in violazione delle normative a tutela dei lavoratori , sia perché la finalità normativa di costruire un apparato di monitoraggio e valutazione della domanda e dell'offerta di lavoro mediante la previsione di specifici obblighi di comunicazione non può ritenersi sussistente nell'ipotesi di attività professionali, il cui esercizio è già condizionato a un'iscrizione ad apposito albo o elenco.
Tale iscrizione – chiarisce la Corte – «è in grado di assicurare adeguatamente il perseguimento dei fini di monitoraggio delle politiche del lavoro e di tutela dei lavoratori, che rappresentano il fondamento degli obblighi normativi di comunicazione».
L'iscrizione all'Albo professionale, oltre a essere condizione per l'esercizio legittimo della professione intellettuale «assolve, infatti, una funzione informativa sia per i terzi, che intendono avvalersi dell'opera professionale di uno degli iscritti, sia di ogni altro soggetto che abbia interesse a prendere conoscenza dei dati ivi contenuti».