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In caso di reintegra risarcimento per intero anche a chi aveva già raggiunto l’età pensionabile

Pubblicato il 28 ottobre 2021 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

Anche se la dipendente ha raggiunto l'età pensionabile, il risarcimento del danno conseguente alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento con ordine di reintegrazione in servizio in base all'articolo 18 della Legge 300/1970 va liquidato in misura integrale. La lavoratrice ha diritto a un indennizzo che copra l'intero intervallo temporale compreso tra il giorno del licenziamento e quello della effettiva reintegrazione, anche se nel periodo intermedio la dipendente ha compiuto i 65 anni di età.
La Cassazione ha affermato questo principio (ordinanza 29365/2021 , depositata il 21 ottobre) sul presupposto che il raggiungimento del requisito anagrafico per la pensione non costituisca automatica causa di estinzione del rapporto di lavoro. Il compimento dell'età pensionabile e la maturazione dei requisiti per il diritto alla pensione autorizzano il datore di lavoro ad esercitare il recesso ad nutum, ma non comportano la caducazione ex se del rapporto di lavoro.
Ne consegue che la maturazione del requisito pensionabile in pendenza della causa di impugnazione del licenziamento non impedisce la pronuncia giudiziale di reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna del datore al risarcimento del danno in misura piena secondo il dettato dell'articolo 18, ovvero pari alle retribuzioni mensili dalla data di (illegittimo) licenziamento alla data della reintegrazione.
Né risulta giustificabile la tesi per cui, poiché il rapporto si sarebbe comunque interrotto al compimento dell'età pensionabile, la liquidazione del danno subìto dalla lavoratrice va riparametrato all'insorgenza del diritto alla pensione. Neppure risulta corretto il riferimento all'ipotesi di impossibilità della reintegrazione per cessazione dell'attività aziendale, ritenuta applicabile dalla difesa datoriale sul presupposto che, in un caso come nell'altro, non è possibile disporre la ricostituzione del vincolo contrattuale. La Cassazione rimarca che le due ipotesi non sono sovrapponibili in quanto, in caso di cessazione dell'attività aziendale, l'impossibilità della prestazione costituisce una condizione di fatto, mentre con il compimento dei 65 anni l'impossibilità realizza una condizione giuridica.
Il caso sul quale si è pronunciata la Corte di legittimità è relativo all'impugnazione del licenziamento intimato a valle di una procedura collettiva di riduzione del personale. In primo grado la domanda della dipendente era stata rigettata, mentre in appello è stata dichiarata l'inefficacia del licenziamento e ordinata la reintegrazione con il “pacchetto risarcitorio” pieno previsto dall'articolo 18 della legge 300/1970.
Appellandosi al dato anagrafico della lavoratrice, che nelle more del giudizio ha raggiunto l'età pensionabile, l'impresa aveva liquidato il risarcimento solo fino alla data del compimento dei 65 anni. La lavoratrice aveva, allora, promosso un autonomo giudizio per il versamento dell'ulteriore risarcimento danni fino all'effettiva reintegrazione. La domanda è stata accolta nei due gradi di merito.
La Cassazione ha confermato questa conclusione, osservando che il compimento dei 65 anni non determina l'automatica cessazione del rapporto di lavoro, essendo a tal fine necessario un atto di licenziamento datoriale. Ne consegue che la lavoratrice ha diritto al versamento anche delle retribuzioni mensili successive al raggiungimento dell'età pensionabile, fino alla data di effettiva reintegrazione.

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