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Legittimo il trasferimento d’azienda infragruppo e l’applicazione di una disciplina peggiorativa

Pubblicato il 09 dicembre 2021 Il Sole 24 Ore; Italia Oggi;

L'esistenza di un collegamento societario tra cedente e cessionario non è ostativa alla fattispecie di cessione d'azienda (articolo 2112 del Codice civile) ed è legittima l'applicazione della contrattazione collettiva del cessionario, anche se più sfavorevole per i lavoratori ceduti. Così la Corte di cassazione con l'ordinanza 37291/2021.
Nel caso in esame, la legittimità del trasferimento d'azienda veniva contestata dai lavoratori coinvolti in quanto la società cedente era controllante della cessionaria. Inoltre, per effetto del trasferimento d'azienda, ai lavoratori veniva applicata una disciplina complessivamente meno favorevole in virtù dell'applicazione della contrattazione collettiva applicata dal cessionario.
La Corte d'appello di Cagliari, riformando la pronuncia del Tribunale, accertava la legittimità del trasferimento infragruppo ed escludeva che potesse ritenersi in frode alla legge la volontà di regolare i rapporti di lavoro dei dipendenti ceduti in base a un contratto collettivo complessivamente più sfavorevole, effetto invece consentito dall'articolo 2112 del Codice civile.
A tal proposito, la Corte d’appello richiamava l'orientamento di legittimità (Cassazione 11614/2011; 5882/2010; 2609/2008) che esclude la sopravvivenza del contratto collettivo della cedente ove la cessionaria applichi un altro contratto, realizzandosi l'effetto sostitutivo a parità di livello della contrattazione collettiva in vigore presso cedente e cessionaria, giudicando tale orientamento conforme all'articolo 2112 del Codice civile e alla direttiva 77/87, come riscritta dalla direttiva 2001/23.
Investita della questione, la Suprema corte, per quanto di nostro interesse, ha escluso che si possa «considerare ostativo, ai fini dell'art. 2112 cit., l'esistenza di un collegamento societario tra cedente e cessionario». Per la Corte, l'esistenza di un collegamento economico-funzionale tra imprese del medesimo gruppo non è idoneo, di per sé, a far venire meno l'alterità dei soggetti giuridici e a configurare un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro, occorrendo a tal fine altri requisiti, individuati in «indici di simulazione o preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico» o nella «mera apparenza della pluralità di soggetti giuridici a fronte di un'unica sottostante organizzazione di impresa, intesa come unico centro decisionale».
La Cassazione richiama la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (C458/12), per cui l'indipendenza del cessionario nei confronti del cedente non costituisce un presupposto per l'applicazione della direttiva 2001/23.
Per la Cassazione, la Corte d'appello ha interpretato correttamente l'articolo 2112 del Codice civile, comma 3, nel ritenere applicabile ai dipendenti ceduti la contrattazione collettiva applicata dalla cessionaria, anche se più sfavorevole, atteso il loro inserimento nella nuova realtà organizzativa e nel mutato contesto di regole, anche retributive, «potendo trovare applicazione l'originario contratto collettivo nel solo caso in cui presso la cessionaria i rapporti di lavoro non siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva».
I giudici evidenziano come l'articolo 3, comma 3, della direttiva 2001/23 – per cui «il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest'ultimo per il cedente, fino alla data (...) (di) applicazione di un altro contratto collettivo» – per la Corte di giustizia deve essere interpretato nel senso che «il cessionario ha il diritto di applicare, sin dalla data del trasferimento, le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione» (C-108/10, Ivana Scattolon).
Sotto diverso profilo, la Corte evidenzia come, in base alla sentenza sul caso Scattolon e tenuto conto dello scopo della direttiva, «la comparazione tra le condizioni di lavoro presso la cedente e quelle in essere presso il cessionario deve essere eseguita considerando il trattamento complessivo», rilevando sul punto il difetto di specificità del ricorso.

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