Il blocco dei licenziamenti economici previsto durante il periodo emergenziale si applica pacificamente anche ai dirigenti non solo con riferimento ai processi collettivi di riduzione del personale, ma anche rispetto ai licenziamenti individuali.
È irragionevole ritenere che il divieto dei licenziamenti per motivo oggettivo si applichi ai dirigenti se essi siano coinvolti in una procedura di licenziamento collettivo in base agli articoli 4 e 24 della legge 223/1991 e non, invece, se il recesso datoriale interviene su base individuale.
Ad avviso del Tribunale di Milano (sentenza 10 novembre 2021, est. Pazienza) il riferimento della normativa emergenziale all'articolo 3 della legge 604/1966 è stato effettuato unicamente per individuare la tipologia del licenziamento sottoposta al divieto, ovvero il licenziamento che deriva da motivazioni oggettive di natura aziendale o economica. Si osserva, in questo senso, che il divieto dei licenziamenti economici (articolo 14 del Dl 104/2020) non è messo in relazione all'intero impianto della legge 604/1966, da cui i dirigenti sono pacificamente esclusi, ma alla sola previsione della fattispecie del giustificato motivo di licenziamento.
Anche nel caso di licenziamento del dirigente è richiesta al datore la sussistenza di un giustificato motivo, posto che “la giustificatezza oggettiva di fonte contrattuale che integra la giustificazione oggettiva dei licenziamenti dei dirigenti è in rapporto di continenza rispetto al meno ampio giustificato motivo oggettivo”.
Sono concetti espressi già da un filone della giurisprudenza di merito (cui si oppone un indirizzo di segno contrario) per cui alla base del blocco ci sono ragioni di ordine pubblico da cui non può restare esclusa la categoria dei dirigenti. Se la ratio che ha ispirato la norma emergenziale è di evitare che le conseguenze economiche della pandemia si traducano nella immediata perdita di posti di lavoro, una lettura costituzionalmente orientata deve necessariamente ricomprendere i dirigenti nel divieto temporaneo dei licenziamenti economici.
Sin qui nulla di eccezionalmente nuovo, anche se le pronunce dei giudici in questa materia si contano sulle dita di una mano e hanno, per ciò stesso, una indubbia rilevanza. Il Tribunale di Milano si spinge, in effetti, più avanti e afferma che, anche volendo aderire alla tesi per cui i dirigenti sono esclusi dal blocco dei licenziamenti economici, occorre distinguere tra dirigenti convenzionali e “pseudo-dirigenti”.
Ai lavoratori che sono dirigenti sul piano formale, ma nei fatti non ricoprono un ruolo manageriale con ampi poteri di indirizzo su un ramo dell'impresa, il divieto si applica comunque. Non è sufficiente avere un trattamento economico equiparabile alla posizione dei dirigenti ed essere inquadrati nella relativa categoria legale; occorre, altresì, che il lavoratore sia effettivamente assegnato a funzioni che imprimono un indirizzo alla gestione dell'impresa e presuppongono poteri di iniziativa e discrezionalità sul piano decisionale.
In mancanza di queste condizioni, il blocco dei licenziamenti economici disposto nella fase emergenziale della pandemia (che, si ricorda, è terminato per tutte le imprese il 31 ottobre) si applica anche i lavoratori inquadrati come dirigenti.
La distinzione tra dirigenti convenzionali e pseudo-dirigenti è un principio acquisito dalla giurisprudenza di legittimità, ma è una novità l'applicazione che ne viene fatta per ricomprendere anche i dirigenti nel divieto dei licenziamenti per motivo oggettivo introdotto durante la fase emergenziale pandemica.