Il Codice della crisi d’impresa non ha, purtroppo, introdotto alcuna disposizione sul trattamento dei tributi locali nell’ambito del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Il trattamento dei crediti tributari è disciplinato dal Codice nell’articolo 63 e nell’articolo 88 che prevedono – analogamente alla Legge Fallimentare - la possibilità, per l’impresa che si trova in uno stato di crisi o d’insolvenza, di proporre all’ente creditore una riduzione e una dilazione di pagamento dei crediti relativi a “tributi amministrati dalle agenzie fiscali”. Tali norme non distinguono dunque tra tributi erariali e locali, ma limitano il loro campo di applicazione a quelli che sono “amministrati dalle agenzie fiscali”. Sulla base di queste disposizioni, se - come normalmente accade - i tributi locali non sono amministrati da un’agenzia fiscale, secondo alcuni interpreti i crediti relativi a tali imposte non potrebbero essere oggetto di riduzione da parte dei relativi titolari e dovrebbero quindi essere pagati integralmente, fatti salvi gli effetti del concordato preventivo votato con le maggioranze di legge dagli altri creditori. Questa conclusione contrasta con la ratio e con la lettera delle norme che disciplinano la crisi d’impresa. Ci sono buoni motivi per falcidiare e dilazionare anche i tributi locali, seppur al di fuori della transazione fiscale, né è a tal fine di ostacolo il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, che è derogabile con un bilanciamento degli interessi in gioco. Tuttavia, sarebbe meglio che tale conclusione risultasse chiaramente dalla legge.