La scissione è un’operazione sovente utilizzata per realizzare ristrutturazioni societarie – anche in contesti di crisi di impresa – ed è in particolare in tali ambiti che può emergere la problematica dell’assegnazione alla beneficiaria di un patrimonio netto di importo negativo (perché le attività che lo compongono hanno complessivamente un valore inferiore a quello delle rispettive passività). La legittimità civilistica della scissione con patrimonio netto negativo è particolarmente discussa. Bisogna però distinguere due casi. Il primo riguarda la scissione negativa cosiddetta “contabile” che non pone particolari problematiche giuridiche perché è ritenuta del tutto ammissibile dalla prassi notarile (Consiglio Notarile di Milano, massima n. 72/2005 e Consiglio Notarile di Roma, massima n. 1/a, luglio 2016, si veda anche il Documento di ricerca Fnc/Cndcec del luglio 2018). La seconda tipologia di scissione negativa è quella cosiddetta “reale” ove il valore del patrimonio scisso (comprensivo dell’eventuale avviamento, se si tratta di un ramo aziendale) risulta negativo anche se le attività sono considerate sulla base dei valori di mercato ed è valorizzato l’avviamento.