Una delle ragioni del modesto ricorso in questi mesi alla nuova procedura di composizione negoziata della crisi di impresa – introdotta dal D.L. 118/2021 e poi trasfusa negli articoli da 12 a 25-quinquies del Codice – può essere individuata negli scarsi incentivi sul fronte fiscale. Considerato che quelli erariali sono generalmente crediti significativi nelle imprese in crisi, la principale caratteristica che dovrebbe avere una procedura di composizione della crisi è quella di poter consentire la falcidia dei debiti fiscali. Sotto questo aspetto la composizione negoziata si presenta carente in quanto non consente di accedere direttamente alla transazione fiscale, per cui – per ottenere lo stralcio dei debiti – l’unica possibilità è di concludere la procedura con la sottoscrizione di un accordo di ristrutturazione dei debiti o presentare un concordato preventivo. In attesa dell’approvazione definitiva da parte del Parlamento della nuova rottamazione contenuta nel DDL di Bilancio, per gestire il debito fiscale non resta che percorrere, quindi, le procedure ordinarie di rateizzazione delle cartelle esattoriali, secondo l’articolo 19, D.P.R. 602/1973 (rateizzazione ordinaria in 72 rate mensili o straordinaria in 120 rate mensili), mentre per i tributi non ancora a ruolo è prevista la possibilità di chiedere all’Agenzia delle entrate la rateizzazione in 72 rate mensili, ma ciò solo alla conclusione del contratto o dell’accordo con i creditori e alla relativa pubblicazione nel registro imprese. Sotto il profilo delle imposte sui redditi la composizione negoziata, pur non essendo stata ancora inserita tra le procedure che danno diritto alla detassazione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti e alla deduzione “automatica” delle perdite su crediti, consente comunque di accedere a detti benefici fiscali stante il richiamo alle norme del Tuir da parte dell’articolo 25-bis, comma 5, del Codice.