Il Tribunale di Roma, nella sentenza n. 3757/2023, ha stabilito che, nel contesto di una decisione societaria, il conflitto di interessi consiste, in via generale, in una contrapposizione tra l’interesse particolare di uno dei soci e l’interesse della società. Non rileva, quindi, ai fini dell’impugnazione di una delibera assembleare, il caso in cui la decisione consenta a un socio di conseguire un interesse personale ulteriore e diverso rispetto all’interesse della società senza, tuttavia, procurare a essa un pregiudizio neppure potenziale.
Infatti, l’invalidità dell’atto è subordinata non solo al fatto che il voto determinante per il raggiungimento della maggioranza necessaria per l’approvazione della delibera sia espressione del soggetto in capo al quale si configura una situazione di conflitto d’interessi, ma anche alla condizione che tale delibera possa recare alla società un danno, seppur in via solo potenziale.
Non è, allora, annullabile per conflitto d’interessi la deliberazione determinativa del compenso dell’amministratore per il mero fatto che essa sia stata adottata con il voto determinante espresso dallo stesso amministratore che abbia preso parte all’assemblea in veste di socio, se non ne risulti altresì pregiudicato l’interesse sociale. Tale delibera pregiudica l’interesse sociale se il compenso è fissato in misura irragionevole alla luce del fatturato e della dimensione economica e finanziaria dell’impresa, da rapportare all’impegno chiesto per la sua gestione (cfr. Cass. 3 dicembre 2008 n. 28748).